Biotecnologie, è tempo di innescare una rivoluzione industriale

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Qual è lo stato di salute del biotech tricolore? E cosa occorre per un vero cambio di marcia che renda il settore delle biotecnologie competitivo sul piano internazionale e al contempo sostenibile?

Sono alcuni interrogativi a cui hanno risposto, in occasione dell’evento online “Biotecnologie e futuro – Investimenti ricerca e rilancio dell’impresa” organizzato da Fortune Italia Health, quattro rappresentanti di rango di questo comparto, afferenti al mondo dell’industria e della ricerca clinica: Riccardo Palmisano presidente di Assobiotec, Annalisa Adani General Manager Italy di ‎Miltenyi Biotec, Andrea Biondi direttore della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano- Bicocca e Fabio Ciceri, direttore Scientifico dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano.

Obiettivo: riuscire a industrializzare la ricerca scientifica.

Il comune denominatore di tutti gli interventi ha riguardato la constatazione dell’elevato potenziale del biotech italiano a cui corrisponde, però, una scarsa competitività rispetto a quanto avviene all’estero. I motivi sono vari. “Attiriamo poco capitale per la ricerca, brevettiamo poco e attraiamo poco venture capital. Molto meno di Paesi più piccoli del nostro, come ad esempio Israele”, ha detto tranchant Palmisano. Con la conseguenza di riuscire a industrializzare ancor meno la ricerca scientifica.

Il problema, sostengono gli addetti ai lavori, è il finanziamento dell’innovazione. Che dovrebbe essere presente lungo tutto il percorso che porta dal laboratorio alla clinica, passando per produzione e logistica. In quest’ottica gli ingenti fondi previsti dal Next Generation Eu “saranno importantissimi. Ma è fondamentale riuscire a concretizzare le buone idee”, ha aggiunto il presidente delle aziende biotech. Ricordando ed evidenziando: “Se non ora, quando tornerà l’occasione reale di far compiere un salto di qualità anche dal punto di vista produttivo all’eccellenza dei medicinali biologici made in Italy?”.

Come a dire che i possibili investimenti e partnership che potrebbero derivare dall’implementazione di linee produttive di vaccini per Covid realizzati completamente in Italia, di cui si sta parlando su diversi tavoli istituzionali da qualche tempo a questa parte, non dovrebbero restare eventi isolati. Bensì dovrebbero rappresentare l’innesco di una vera e propria rivoluzione industriale con orizzonte di medio-lungo termine per la farmaceutica nazionale.

Certo, ma allora quale ricetta seguire per arrivare a un risultato così ambizioso? Il tema chiave per Adani è riuscire a “rendere le imprese capaci di realizzare l’innovazione con la stessa velocità con cui avanza la ricerca scientifica”, trovando al contempo le soluzioni per ridurre il time-to-market e per superare la frammentazione geografica che riduce la competitività italiana nel contesto internazionale.

Le criticità, però, non riguardano solo il mondo dell’impresa. O, meglio, non solamente questa faccia della ricerca biotech. La prospettiva clinica mette in luce il freno che rallenta la possibilità di portare i risultati della ricerca al letto del paziente. Abbiamo la “necessita di infrastrutture che permettano il disegno di studi clinici in grado di focalizzare le terapie sui pazienti che veramente necessitano l’innovatività”, ha detto Ciceri. Trovando inoltre il modo di collocare l’innovazione in aree cliniche capaci di gestire la complessità “perché i prodotti terapeutici biotecnologici necessitano di competenze specifiche per la gestione di ogni singolo step del processo”. A ciò si affianca una discrasia tra la velocità della scienza nel produrre soluzioni terapeutiche a cui non corrisponde una analoga rapidità della valutazione regolatoria. Con la conseguenza di creare forti ritardi nell’accesso alle nuove terapie e la perdita di anni di vita dei malati finanche alla perdita di vite umane.

Le priorità del biotech

Naturalmente anche Palmisano concorda con il bisogno di pianificazione evidenziato da Ciceri: “Assobiotec ha presentato alle autorità, prima e dopo la pandemia in ottica Next Generation Eu, diverse proposte per un piano lungo e largo che permetta alle aziende del comparto di cessare di vivere alla giornata e consenta di guardare lontano nel tempo e costruire un percorso dal bancone al letto del paziente”. Due le principali iniziative che di potrebbero realizzare. Un’agenzia nazionale per le life science che poggi sul trasferimento tecnologico, così da riuscire a far dialogare scienza e capitale di investimento e un one-stop-shop che permetta agli imprenditori di trovare tutte le risposte alle proprie esigenze senza dover peregrinare tra innumerevoli uffici, ministeri e agenzie. “La frammentazione delle risorse, delle informazioni e delle regole scoraggiano l’investitore”, ha aggiunto Palmisano. Che ha anche ricordato come sia ancora troppo il tempo che intercorre tra l’approvazione di un finanziamento e il passaggio di cassa. E se non si riuscirà a fare ciò, il rischio è quello di “continuare a spendere per formare ricercatori che poi andranno a brevettare all’estero e a produrre Pil e occupazione in Paesi diversi dall’Italia”.

Salute e sostenibilità

Il webinar è stata anche l’occasione per parlare di sostenibilità. Un tema quanto mai attuale quando si tratta di farmaci, sanità e accesso alle terapie. “La sostenibilità è un fattore critico di successo per poter generare innovazione di valore”, ha sintetizzato Adani portando ad esempio quanto fatto in Miltenyi Global, dove in sei anni si è riusciti quasi a dimezzare il consumo energetico degli stabilimenti produttivi. Un risparmio che ha generato “risorse da convogliare, ad esempio, verso l’innovazione tecnologica dedicata alla medicina di precisione”.

Nessun dubbio sulla relazione tra salute e sostenibilità anche per Biondi che, facendo esplicito riferimento al “caso pandemia”, ha evidenziato come “universalità ed equità delle cure non possano non essere comprese nell’agenda politica di tutti i Paesi”.
Per questo è necessario riflettere sul futuro della medicina e della farmaceutica che vedranno prestissimo aumentare il numero di farmaci “intelligenti”, cioè capaci di interferire con i meccanismi biologici alla base di numerose patologie oggi ancora non trattabili.

Tra questi nuovi farmaci ci sono, ad esempio, “i prodotti medicinali di terapia avanzata (Atmp), presenti nel portfolio di molte aziende e in attesa di valutazione da parte degli enti regolatori”, ha ricordato il pediatra. Farmaci molto costosi, ma spesso in grado curare definitivamente se somministrati precocemente grazie a diagnosi tempestive che identifichino la presenza dei geni “malati” prima che si manifestino i sintomi della malattia. E che risultano sostenibili se si ragiona in modo olistico, valutando non solo il costo del farmaco, ma anche tutti i costi diretti e indiretti che il Ssn e la società risparmierebbero evitando di dover assistere dal punto di vista sociale e sanitario persone affette da patologie fortemente invalidanti che le accompagneranno per tutta la vita.

Ancora, “è necessario pensare alle innumerevoli applicazioni della robotizzazione alla chirurgia che permetterà di remotizzare e rendere più sostenibile cure che oggi non lo sono a causa della dispersione delle risorse e delle competenze. Così come l’intelligenza artificiale e il machine learning coniugati alle biotech permetteranno di superare l’attuale scoglio rappresentato dal definire presto e bene i pazienti che possono trarre maggiore vantaggio dall’innovazione terapeutica”. Anche in questi casi si tratta di salute sostenibile.

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