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Di Felicia Pelagalli e Gianluca Ansalone – Salve! Di solito non ci pensiamo, ma ogni volta che salutiamo qualcuno gli stiamo in effetti augurando la buona salute. Questo significa il verbo “salutare”. E questo succede praticamente sempre quando ci vediamo in strada, in ufficio, tornando a casa, o ci sentiamo al telefono, o per messaggio, o affidiamo a un intermediario un pensiero per una persona lontana. Salutamela tanto! Insomma, augurare la buona salute ha un ruolo talmente essenziale nel rapporto tra noi che ha dato il nome ai gesti rituali con cui ci incontriamo e ci separiamo. Ehi, non mi hai salutato! Imperdonabile.

Da dove viene questa importanza? Sotto un’abitudine così radicata ci sono millenni di storia, e prima ancora altri millenni e millenni. Evidentemente la buona salute degli altri non ci sta a cuore per una semplice questione di cortesia. C’è qualcosa sotto, un interesse profondo che ci accomuna. L’interesse a sopravvivere.

Stiamo parlando di una di quelle verità di natura che un tempo erano evidenti ma poi abbiamo un po’ perso di vista. L’ha espressa forse al meglio un uomo vissuto duemilacinquecento anni fa che si chiamava Siddartha Gautama: nessuna realtà è autosufficiente o autonoma, ogni cosa esiste in relazione alle altre, ogni essere dipende dagli altri esseri. Perciò «badando a se stessi, si bada agli altri; badando agli altri, si bada a se stessi». Molto semplice.

Però suona strano, questo principio: è altruismo, è egoismo, o cosa? Per noi che siamo abituati a distinguere nettamente altruismo ed egoismo come due opposti che esistono davvero, è spiazzante. Sembra un paradosso, un cane che si morde la coda. Eppure la natura (che non c’entra nulla con le parole) è tutta tessuta di questi piccoli e grandi cerchi che si chiudono: ogni cosa dipende da tantissime altre. Interdipendenza a tutti i livelli. È un dato di fatto, come l’impossibilità di tornare indietro nel tempo.

Molto tempo fa quando eravamo ancora subordinati quasi totalmente alla natura, era una verità immediata: per vivere dipendevi dal tuo compagno con cui andavi a caccia, e lui da te, e gli altri da voi, e tutti dalla presenza di prede. Gli umani agivano insieme nel grande quadro della natura. La salute di ciascuno dipendeva da quella degli altri. Poi, più avanti, ha cominciato ad andare in onda la fiction che ognuno era un mondo a sé.

Quanto sono diverse le cose nel XXI secolo? Prima di tutto “salute” per noi vuol dire molto più che sopravvivere. Significa benessere fisico e psichico. Significa orientarsi in mezzo a una enorme offerta di alimentazione non sempre sana. Significa trovare modi per compensare gli stili di vita artificiali e gli inquinanti che ci assediano. Significa adottare comportamenti e politiche che non danneggino il nostro futuro come individui e addirittura come specie. Significa scegliere fra molte opzioni difficili da valutare. Insomma, è tutto più complesso.

Eppure al fondo l’essenziale non è cambiato. La gravità ci mantiene pesanti, tornare indietro nel tempo non ci riesce, la regola dell’interdipendenza è la stessa. E il SARS- CoV-2 di questo ha approfittato. Saltando barriere, cancellando i confini, ha riunito la grande famiglia umana, l’ha ammonita che tutto quello che fa è inscritto nella natura, e che la salute non è una faccenda individuale. Il SARS-CoV-2 ci ha ricordato perché ci salutiamo. (E che, in certi casi, il modo migliore di augurarsi la buona salute è da lontano.)

La cosa buona del XXI secolo è che i mezzi che abbiamo per difenderci dalle pandemie come il Covid-19 sono senza paragoni rispetto al passato. Pensiamo da una parte all’infrastruttura digitale, a quale risorsa fondamentale è stata per tenere in piedi larghe parti dell’economia e delle relazioni sociali nonostante l’isolamento fisico. E poi al lavoro di tantissimi scienziati che hanno studiato e studiano incessantemente la trama sottilissima della natura nella quale viaggiano e si trasformano anche i virus pericolosi per la nostra salute. Sul Covid-19 si è accanito il più intenso sforzo collettivo di ricerca che sia mai stato compiuto, uno sforzo costruito sul sapere che altri avevano già creato prima, perché è così che funziona la scienza.

Si parla spesso della scienza con la S maiuscola, come se fosse un’autorità unica, un idolo di pietra che parla e va obbedito come un oracolo. Ma questa è un’altra fiction. Nella realtà la scienza è ciò che fanno ogni giorno tantissime persone il cui lavoro, invece di aggiustare auto o accogliere clienti in banca, è fare ricerca nei laboratori. Guardano nei microscopi, fanno ipotesi su quello che vedono, le testano con degli esperimenti, e confrontano i risultati con i colleghi in giro per il pianeta, sempre perché ciascuno, da solo, è poca cosa di fronte alla complessità. È questo il segreto: la collettività del metodo scientifico. Gli scienziati – non individualmente, ma tutti insieme – producono un sapere che non è fatto di certezze ma sa di quanto può sbagliarsi. Per questo è quanto di più affidabile gli esseri umani possano affermare sul mondo. Se il metodo scientifico potesse essere usato in tutti i campi, probabilmente sarebbe un mondo migliore.

Cercando di trarre qualche lezione utile da un anno di pandemia, lo storico Yuval Harari ha scritto: “Una ragione del gap tra successo scientifico e fallimento politico è che gli scienziati hanno cooperato globalmente, mentre i politici tendevano a trincerarsi”. Egli nota come “molti importanti progetti di ricerca sono stati condotti da team internazionali”, mentre “i politici non sono riusciti a formare un’alleanza internazionale contro il virus e a mettersi d’accordo su un piano globale”. Nel XXI secolo infatti non sono certo la scienza o la tecnologia che ci mancano, il problema è organizzare le risorse con saggezza: il problema è la buona politica. “Quando si decide se imporre un lockdown, non basta chiedersi: ‘Quante persone si ammaleranno di Covid-19 se non imponiamo il blocco?’ Dovremmo anche chiederci: ‘Quante persone andranno in depressione se imponiamo l’isolamento? Quante soffriranno di malnutrizione? Quante perderanno la scuola o il lavoro? Quante saranno picchiate o uccise dai loro coniugi?'”. E parlando dei dati, altra risorsa chiave per le analisi epidemiologiche, Harari osserva: “Anche se tutti i nostri dati sono accurati e affidabili, dovremmo sempre chiederci: ‘Cosa contiamo? Chi decide cosa contare? Come valutiamo i numeri rispetto agli altri?'”. Questi sono tutti problemi e compiti della buona politica.

Quando non siamo soddisfatti della politica, ricordiamo che la politica la possiamo fare anche noi. Già da un po’ meditavamo su un Movimento collettivo (o popolare) per ripensare la salute nel XXI secolo. Avevamo condiviso questo pensiero tra varie associazioni, università, e imprese attente al sociale. Perché vedevamo i difetti nell’organizzazione delle eccezionali risorse del nostro Paese in materia di sanità, e ci rendevamo anche conto che il concetto di salute era ancora il contrario di malattia – di nuovo la vecchia trappola degli opposti – e non una condizione in sé che coinvolge tanti aspetti della vita. Poi la pandemia ha acceso un faro potentissimo e drammatico su tutto il sistema, e ci ha spinto ad agire.

Un gruppo ampio di cittadini, filosofi, economisti, medici, psicologi, esperti di intelligenza artificiale, accademici; un lavoro comune con realtà come l’Università Humanitas, il Politecnico di Milano, l’Associazione Cittadinanzattiva, l’azienda Novartis Italia, la società Culture. Tutti insieme abbiamo elaborato e raccolto le idee in un Manifesto che prova a fare un identikit della salute come la vorremmo: una salute globale e sostenibile che deve pensare al benessere fisico e psichico per tutti e per tutte le età, che deve essere solidale ed inclusiva per non lasciare indietro nessuno, che deve prendersi cura delle persone e della natura insieme, che deve investire sul futuro in maniera responsabile. E il Movimento è nato, per incamminarci verso questa salute, per salutarci in modo nuovo. Movimento come cambiamento e come aggregazione, processo di co-costruzione. Il Manifesto è aperto a tutti per essere consultato, commentato, firmato, come hanno fatto già più di cento persone di tutte le estrazioni. Invitiamo tutti a farlo, si trova qui: lasaluteinmovimento.it. Il Movimento ha tanto più senso se è di molti, proprio come la salute. Il nostro primo interesse condiviso.

Del resto, sappiamo di non essere i soli a pensare che la parola “cura” sarà la più importante del XXI secolo.

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