500 antivirali allo studio contro Covid

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Non solo vaccini per fermare Covid-19. E’ di qualche giorno fa l’annuncio dell’avvio dello studio di fase 1 su un nuovo antivirale orale contro Sars-CoV-2 ‘targato’ Pfizer.

Ma perché, a distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia, abbiamo 4 vaccini approvati in Europa e nemmeno un antivirale? “Non è che c’è un ritardo: in realtà gli antivirali allo studio contro Covid sono 500 nel mondo“, ci spiega il genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Tor Vergata, che insieme al collega Pier Paolo Pandolfi dell’Università di Torino e a un team internazionale ha firmato il recente studio sul nuovo farmaco I3C che intrappola il virus Sars-Cov-2.

“Il fatto è – precisa Novelli – che, al contrario degli antibiotici, gli antivirali sono farmaci più complessi da ‘maneggiare’. Il batterio ha una sua vita ed è autonomo: ti indirizzi al suo metabolismo per sconfiggerlo. Il virus invece dirotta le nostre cellule usando le nostre proteine. Ecco perché gli antivirali devono agire su 3 strade diverse: inibire l’ingresso del virus nelle cellule, vietarne la replicazione e bloccare l’uscita. E non è facile”. Soprattutto non è facile farlo senza far danni alle nostre cellule. “Basta guardare agli studi sull’Hiv”.

In ogni caso in questi mesi la ricerca ha affilato le sue armi. “Ci sono farmaci come gli anticorpi monoclonali orientati a bloccare il virus all’ingresso, ci sono molecole sperimentali che bloccano la replicazione del virus e altre che ne ostacolano l’uscita. Il problema dell’antivirale è che utilizza le nostre macchine per fermare il virus”.

Proprio questo approccio “è utile anche contro le varianti: se cambia l’autista e io blocco comunque la macchina – continua il genetista – non avrò problemi. A patto di essere certo di non far danni alle mie cellule”. Un lavoro impegnativo. “Non è un caso che la gran parte degli antivirali contro il Coronavirus sia in fase 1”, dice Novelli, ovvero all’inizio della sperimentazione sull’uomo.

E’ così anche per il farmaco sperimentale studiato da Pfizer, che – se tutto andrà bene – verrà assunto per via orale. Gli studi in vitro condotti fino ad oggi mostrano che “PF-07321332 è un potente inibitore della proteasi con una potente attività antivirale contro Sars-CoV-2″, fa sapere l’azienda.

“Questo è il primo inibitore della proteasi sperimentale specifico per il coronavirus somministrato per via orale a essere valutato negli studi clinici”, precisa il colosso del farmaco Usa. E segue l’inibitore della proteasi sperimentale somministrato per via endovenosa sempre di Pfizer, attualmente in fase di valutazione in uno studio multidose di fase 1b su partecipanti a studi clinici ospedalizzati con Covid.

Lo studio di fase 1 sul nuovo antivirale orale è condotto negli Stati Uniti su adulti sani per valutarne la sicurezza e la tollerabilità. “Affrontare la pandemia richiede sia la prevenzione tramite vaccino che un trattamento mirato per coloro che contraggono il virus. Dato il modo in cui Sars-CoV-2 sta mutando e il continuo impatto globale di Covid-19, sembra probabile che sarà fondamentale avere accesso alle opzioni terapeutiche sia ora che oltre la pandemia”, ha evidenziato Mikael Dolsten, direttore scientifico e presidente worldwide Research Development and Medical di Pfizer, annunciando i progressi della ricerca.

“Abbiamo progettato PF-07321332 come potenziale terapia orale che potrebbe essere prescritta al primo segno di infezione, senza richiedere che i pazienti siano ospedalizzati o in terapia intensiva. Allo stesso tempo, il candidato antivirale per via endovenosa di Pfizer è una potenziale nuova opzione di trattamento per i pazienti ospedalizzati. Insieme, i due hanno il potenziale per creare un paradigma di trattamento end-to-end che integra la vaccinazione nei casi in cui la malattia si manifesti ancora”, ha detto Dolsten.

Intanto lo studio sul farmaco ‘intrappola-virus’ I3C “sta andando avanti. Con la grande difficoltà italiana – ammette Novelli – legata al trasferimento dal laboratorio all’industria. Questo è un farmaco naturale, dobbiamo trovare un’azienda che lo produca in Gmp per avviare una sperimentazione umana tra Usa e Italia e capire a chi somministrarlo e come: se da solo o con altri medicinali. Stiamo aspettando di mettere a punto i protocolli, e intanto cerchiamo di capire in provetta se funziona anche in maniera combinata con altri farmaci”.

Servono inoltre gli studi sull’animale. Insomma, I3C non è dietro l’angolo. “Ma il fatto che su questa molecola ci siano già anche 11 trial clinici in corso negli Usa su altre patologie ci agevola molto”, evidenzia Novelli. La molecola è infatti studiata nel tumore al seno, nel lupus, nel Papillomavirus e nell’obesità.

“Stiamo andando avanti. Ci teniamo molto a questo farmaco“, confida il genetista. Anche perché dobbiamo guardare al futuro. “Occorre investire sugli antivirali per avere più armi a disposizione contro Covid-19″.

 

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