Varianti Covid, alcune sfuggono ai test rapidi

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E’ destinato a suscitare allarme l’ultimo studio del team di Andrea Crisanti, dell’Università di Padova, sulle varianti di Covid-19. Proprio le varianti genetiche del nuovo coronavirus rappresentano infatti una minaccia per gli sforzi di vaccinazione in tutto il mondo, in quanto possono aumentare il tasso di trasmissione o conferire la capacità al virus di sfuggire all’immunità indotta dal vaccino. Ebbene, secondo la ricerca alcune varianti rischiano di sfuggire al tampone antigenico. Contribuendo così ad alimentare la circolazione (e la mutazione) di Sars-Cov-2.

Ma andiamo per ordine. Le varianti riguardano la proteina Spike codificata dal gene S, coinvolta nell’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite e bersaglio principale dei vaccini. Tuttavia la presenza di varianti non riguarda solo la proteina Spike: queste possono interessare tutto il genoma del virus. Uno dei geni che presenta numerose varianti, anche leggermente più degli altri secondo le ultime stime, è quello che codifica per la proteina ‘N’ del virus, responsabile dell’impacchettamento del materiale genetico di Sars-Cov-2 e che viene chiamata, appunto, nucleoproteina.

Proprio su questa si sono concentrati Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova, Stefano Toppo, Annamaria Cattelan e Vito Cianci (Azienda Ospedale/Università di Padova).

In Italia, come in molti Paesi europei, i test antigenici stanno guadagnando molta popolarità grazie alla loro flessibilità e facilità d’uso e sono sempre più utilizzati per indagini di massa. Dal giugno dello scorso anno alcune Regioni in Italia hanno progressivamente esteso l’utilizzo di massa del test antigenico con l’obiettivo di sostituire progressivamente i tamponi molecolari.

Durante la conduzione di un approfondimento diagnostico è emerso però che alcuni campioni di tampone che non risultavano positivi ai test antigenici mostravano un’elevata carica virale nei test Rt-Pcr. L’analisi di sequenziamento dei virus che mostravano risultati discordanti ha rivelato la presenza di molteplici mutazioni distruttive nella struttura della proteina N (la proteina virale utilizzata per rilevare la presenza del virus nei test antigenici) raggruppate dalla posizione 229 alla 374, una regione – spiegano i ricercatori – nota per contenere le regioni chiave che permettono l’identificazione del virus in questi test.

Lo studio, diffuso in questi giorni su ‘medRxiv’, dimostra come “le varianti genetiche del gene N possano compromettere la capacità di utilizzare i test antigenici sia per la diagnosi che per i test di massa volti a controllare la trasmissione del virus”.

“Ulteriori prove di laboratorio hanno inoltre dimostrato che questa problematica è comune a test antigenici sviluppati da diversi produttori – dice Crisanti – Le sequenze di virus con queste mutazioni sono molto più frequenti nei campioni negativi ai test antigenici ma con Pcr positiva e sono progressivamente aumentate di frequenza nel tempo in Veneto, una regione italiana che ha aumentato notevolmente l’utilizzo dei test antigenici raggiungendo quasi il 68% di tutti i test del tampone per Sars-Cov-2″.

L’ipotesi dei ricercatori non lascia tranquilli. “L’utilizzo di massa dei test antigenici rapidi” potrebbe “involontariamente favorire la diffusione di varianti virali non rilevabili da parte di questi test contribuendo, così, alla loro libera circolazione e all’inefficacia del loro contenimento”, afferma Crisanti.

“Questi risultati forniscono una prima prova che l’utilizzo di massa dei test antigenici per bloccare la trasmissione del virus favorisce la diffusione di varianti non rilevabili del virus come conseguenza della pressione di selezione esercitata dal test stesso – spiega Toppo -. Questa conoscenza, mentre espande la nostra comprensione della plasticità del virus, fornirà il fondamento per implementare approcci migliori e più informati nell’utilizzo di test antigeni sia per la diagnosi che per gli approcci di controllo”.

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