Aids, da vaccino anti-Tat aiuto contro viremia residua

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Da una ricerca ‘antica’, i primi lavori sono di oltre 20 anni fa, un possibile contributo per controllare la viremia residua nei pazienti con Hiv. E questo grazie a un vaccino che attualmente ha completato la fase 2 di sperimentazione.

Lo studio osservazionale pubblicato oggi su ‘The Lancet EBioMedicine’, condotto in pazienti con Hiv in terapia antiretrovirale da vari anni, ha indicato il ruolo fondamentale della risposta immune contro la proteina Tat, nell’indurre un continuo recupero dei linfociti CD4+, e nel ridurre la viremia residua che questi farmaci non riescono ad azzerare.

Lo studio, condotto dal Centro nazionale per la ricerca su Hiv/Aids (Cnaids) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), conferma dunque il razionale scientifico alla base degli studi già pubblicati dall’Iss sull’importanza di un vaccino anti-Tat per potenziare la ricostituzione del sistema immune che la terapia antiretrovirale da sola, benché molto efficace nel bloccare la replicazione del virus, riesce a ottenere solo parzialmente anche dopo anni.

“La soppressione della replicazione virale determinata dall’inizio della terapia antiretrovirale porta ad un forte e veloce recupero dei linfociti CD4+, le cellule immunitarie che orchestrano la risposta immunitaria e che vengono “aggredite” dal virus Hiv – spiega Barbara Ensoli, direttore del Cnaids dell’Iss e coordinatrice dello studio – tuttavia, dopo alcuni anni di terapia, l’aumento dei linfociti CD4+ rallenta ed eventualmente si arresta, anche se non ha raggiunto i livelli ottimali, soprattutto nei pazienti che iniziano tardi la terapia. Inoltre, anche nei pazienti in trattamento efficace permangono bassi livelli di viremia intermittente, denominata viremia residua, che è causa di progressione e co-morbilità”.

“Il nostro studio, condotto in pazienti in terapia cronica e seguiti per 3 anni, ha identificato nella risposta immune a Tat il fattore determinante per il perdurare dell’aumento delle cellule CD4 e per il controllo della viremia residua”.

D’altra parte, “gli anticorpi anti-Tat sono infrequenti nei pazienti infettati (20-30%), ma quando presenti si associano a un maggiore controllo della viremia residua, e a livelli di cellule CD4 più elevati, con dinamiche di incremento nel tempo superiori rispetto a quanto osservato in pazienti che non hanno risposte immuni anti-Tat – aggiunge Ensoli – In questi pazienti si ha anche un miglioramento del funzionamento del sistema immune (immunoricostituzione) rispetto ai pazienti che non hanno questa risposta immune alla proteina Tat”.

“Ciò – sostiene – conferma i risultati positivi con il vaccino Tat che ha completato la Fase 2 di sperimentazione nell’uomo sia in Italia che in Sudafrica, con effetti positivi che perdurano anche dopo 8 anni dalla vaccinazione”.

Allo studio hanno partecipato 10 Centri clinici italiani: Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, Istituto San Gallicano di Roma, Ospedale S. Maria Goretti di Latina, Ospedale S.M. Annunziata di Firenze, Asst Spedali Civili di Brescia e Università degli Studi di Brescia, Azienda Ospedaliera “Ospedale Policlinico Consorziale” di Bari, Azienda Ospedaliero Universitaria – Policlinico di Modena, Ospedale Amedeo di Savoia di Torino, Azienda Ospedaliera Luigi Sacco di Milano, Fondazione Centro S. Raffaele del Monte Tabor – H.S. Raffaele di Milano.

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