La professione del futuro? L’embriologo

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Lo abbiamo letto tutti con preoccupazione, sui giornali di qualche giorno fa: l’Italia continua a registrare un inesorabile calo delle nascite, acuito dalla tragica situazione che il nostro Paese sta vivendo sotto i colpi della pandemia, dal punto di vista sia sanitario che economico. L’Istat ci ha restituito una fotografia impietosa sull’andamento demografico lungo lo Stivale: quest’anno si è toccato il minimo storico di nuovi nati dall’Unità di Italia e si inizia a esaminare quanto l’emergenza coronavirus abbia influito su questo trend.

A dicembre 2020, il primo mese in cui possiamo iniziare a calcolare l’andamento delle gravidanze avvenute durante la pandemia (da marzo 2020), il calo risulta già del 10%. Solo nei prossimi mesi potremo davvero calcolare in modo più dettagliato quanto le paure e le restrizioni imposte dalla pandemia abbiano influito sui concepimenti e quindi sull’andamento delle nascite.

La percezione che abbiamo nei centri di procreazione medicalmente assistita (Pma) è invece incoraggiante: chi ha il progetto di un figlio sta tentando in tutti i modi di portarlo avanti, con ogni sacrificio necessario. E nei nostri laboratori, da embriologi, lavoriamo ogni giorno per aumentare le chance di poter esaudire il più grande dei desideri. Penso però che, in futuro, i giovani che si stanno formando per intraprendere questa professione, sapranno farlo sempre meglio: in quanto nativi digitali, ma anche ben consapevoli di quanto il lato umano possa fare la differenza.

Attraverso l’attività clinica, effettuando migliaia di procedure di fecondazione assistita nelle nostre “provette”, avvalendoci delle migliori capacità umane e tecnologie disponibili, ma anche impegnandoci nell’attività di ricerca e innovazione, l’obiettivo dell’embriologia moderna è dunque di rendere più efficace e consistenti i risultati della Pma. Ma non lo si potrà fare solo con la tecnologia. Servono anche empatia e connessione con i pazienti.

Recentemente Shanna Swan, docente di Medicina ambientale della Mount Sinai School of Medicine di New York, ha stimato che, entro il 2045, la maggior parte delle coppie dovrà ricorrere alla fecondazione in vitro a causa del progressivo inquinamento da plastiche, che danneggerebbero la qualità degli spermatozoi. Inoltre, in una società con un basso tasso di natalità come la nostra, ci sono meno donne in età fertile, che fanno sempre meno bimbi, e in età sempre più avanzata.

Leggendo questi dati, ho subito pensato che quella dell’embriologo potrebbe davvero rappresentare la professione del futuro: il decremento nella quantità e qualità dei gameti rappresenta infatti un’enorme sfida per chi si occupa di fertilità.

Poco conosciuto ai più, questo lavoro è qualcosa che va oltre il vivere in un laboratorio, osservare gli embrioni formarsi e crescere, esaminarne lo stato di salute. E’ un vero esempio di ‘multitasking‘: l’embriologo deve assumersi diverse responsabilità cliniche, che implicano abilità e autonomia di giudizio relative non solo alle pratiche di laboratorio di fecondazione in vitro, ma anche alla gestione del ciclo, e alla comunicazione ai pazienti; l’embriologo gestisce inoltre un sistema di controllo per la garanzia della qualità e della sicurezza delle cure; e non ultimo, gli embriologi svolgono un ruolo cruciale nella ricerca scientifica e nello studio dell’innovazione tecnologica.

Si parla molto di intelligenza artificiale nei laboratori di Pma come prospettiva fra le più promettenti di questa branca della medicina. Ma anche di robotica, di ‘lab on a chip‘ (il laboratorio automatizzato in miniatura), di medicina predittiva, di procedure diagnostiche sempre meno invasive, dell’impiego di Crispr-Cas9 (le ‘forbici’ molecolari in grado di correggere difetti genetici negli embrioni).

In una recente intervista David Gardner, pioniere della Pma, ci ha guidati in un meraviglioso viaggio nel laboratorio di Ivf del futuro, descrivendo punto per punto tutte queste tecnologie e gli approcci più avanzati per rendere l’embriologia sempre di più il fulcro del successo della Pma. Ne consegue che il lavoro dell’embriologo si potrebbe definire come una sorta di ‘matrimonio’ fra formazione ed esperienza professionale, capacità di connessione umana e nuove tecnologie, quelle che in tutto il mondo si stanno sperimentando per aiutare a ottimizzare e migliorare i tassi di gravidanza nei centri Ivf.

Far sì che questo matrimonio diventi un’unione solida, duratura e mai sbilanciata nei ruoli sarà il compito di ognuno di noi e di tutti i giovani che vedo numerosi rincorrere il sogno di diventare un embriologo ‘2.0’. E negli occhi degli studenti che mirano a lavorare in questo settore, vedo davvero tutto questo: la capacità di sfruttare l’innovazione, la tecnologia, sempre con un occhio umano preparato che vigili e comunichi con calore.

Laura Rienzi, embriologa clinica, professore a contratto di Biotecnologie della riproduzione all’Università di Urbino e direttore scientifico del gruppo GeneraLife

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