L’impatto di Covid sulla salute maschile

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L’impatto di Covid-19 sulla salute maschile è drammatico. Dall’inizio della pandemia le mancate diagnosi di cancro alla prostata, la più frequente neoplasia tra gli uomini italiani, sono circa il 50% (a fronte delle 36mila attese per il 2020). La stima è della Fondazione Pro, che si occupa di prevenzione al tumore alla prostata.

“C’è stato un crollo anche su tutti gli accessi, dai percorsi terapeutici ai follow up, agli screening. Il nostro appello alle persone colpite dal tumore è a non abbandonare i trattamenti in nessun modo. È più facile morire di cancro che di Covid”. “ueste le parole piene di preoccupazione di Vincenzo Mirone, ordinario di Urologia dell’università Federico II di Napoli e presidente della onlus.

La situazione oggi non sembra migliorare. “A causa della carenza di anestesisti, concentrati nelle terapie intensive, si fanno meno interventi chirurgici” spiega il professore. E nel futuro sarà difficile recuperare le diagnosi sommerse e salvare chi si sarebbe potuto salvare. “Quando usciremo da Covid è evidente che si creerà un imbuto nelle sale operatorie e avremo molti più pazienti in fase avanzata di malattia con un aumento della mortalità – denuncia Mirone – Già quando le cose funzionano muoiono di questa neoplasia settemila persona all’anno”.

I principali ostacoli alle cure e alle nuove diagnosi sono due. Il primo è la paura del contagio in corsia: quattro malati su dieci hanno evitato di andare in ospedale, rinviando le visite. “Chi ha già avuto il cancro non invia gli esami di controllo allo specialista e non segue la terapia dopo l’intervento” dice Mirone. Il secondo, “è la chiusura in diversi ospedali dei reparti di urologia, convertiti per i pazienti Covid”, avverte Roberto Scarpa, direttore dell’Urologia del Campus Bio-Medico di Roma e presidente della Società italiana di urologia (Siu).

Negli uomini il cancro della prostata è il secondo per incremento di incidenza (+3,4%) dopo il melanoma (+7,8%), stando all’ultimo calcolo dell’Associazione italiana dei registri tumori (riferito al 2008-2016). La prevenzione è decisiva. Trattandosi di un killer silenzioso.

“Non esistono sintomi caratteristici del tumore alla prostata – sottolinea Scarpa – Chi ha già avuto casi in famiglia a partire dai 45 anni deve sottoporsi un volta l’anno alla visita urologia e all’esame del Psa, che misura nel sangue il livello di antigene prostatico specifico. Se è alterato, già dal valore di 2,4/2,7, è necessario un approfondimento diagnostico con risonanza magnetica. Il resto della popolazione maschile deve iniziare la prevenzione dopo i 50 anni” raccomanda il professore.

Il rischio di ammalarsi aumenta con l’età, oltre a essere collegato alla familiarità. “Bisogna considerare anche i casi di cancro al seno causati da mutazioni dei geni Brca 1 e Bca 2, coinvolgendo anche il 15% dei casi di tumore alla prostata” aggiunge il presidente Siu.

Dall’indagine della Fondazione Pro emerge che quasi il 40% dei 500 pazienti consultati teme di essere più esposto al contagio a causa dei trattamenti antitumorali e sette su dieci vorrebbero assumere terapie trimestrali o semestrali per ridurre al minimo gli accessi in ospedale. Per favorire l’aderenza terapeutica e il follow up, ricorda Mirone, “è necessario investire sugli strumenti di telemedicina”, e nei casi avanzati di tumore, “prescrivere farmaci con azione terapeutica di tre o sei mesi”.

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