Vaccini, percorsi su misura per i più fragili

vaccini Simit
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Percorsi vaccinali personalizzati per i più fragili. In un documento scientifico la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) definisce un calendario di vaccinazioni specifico per anziani, immunodepressi (malati oncologici, trapiantati, hiv positivi, chi è in terapia con immunosoppressori) e determinate categorie di persone affette da una o più patologie croniche, come epatopatia, insufficienza renale e respiratoria, cardiopatia e diabete.

“Non si può più ragionare con un piano nazionale di vaccinazioni generico, non siamo tutti uguali, ci sono pazienti significativamente più esposti a contrarre virus e infezioni con gravi complicanze che possiamo prevenire attraverso i vaccini” dichiara Massimo Andreoni, direttore scientifico della simit e responsabile del reparto di Infettivologia del policlinico Tor Vergata di Roma. Il documento, di prossima pubblicazione, verrà poi presentato alle istituzioni sanitarie. La sfida lanciata dalla società italiana degli infettivologi guarda oltre Covid e fa diventare i vaccini strumenti per una medicina di precisione.

“I vaccini non sono mai una spesa ma un guadagno, perché riducono l’assenteismo sul lavoro, le ospedalizzazioni e l’uso scorretto di antibiotici, che favorisce lo sviluppo di batteri multiresistenti” osserva Giovanni Rezza, direttore della Prevenzione del ministero della Salute. Oggi, sottolinea Rezza, “non possiamo più pensare solo alle vaccinazioni del bambino ma dobbiamo coprire tutte le età della vita, soprattutto gli anziani. Covid non ha cancellato le altre patologie, anche se le vaccinazioni sono state trascurate. Molto personale impegnato nei centri vaccinali è stato adibito a fronteggiare l’emergenza pandemica e alcune coperture vaccinali, come quelle contro l’Hpv, restano piuttosto basse”.

Per gli ultrasessantacinquenni il piano nazionale, oltre alla vaccinazione antinfluenzale, raccomanda quella antipneumococcica (che protegge dalle polmoniti batteriche), quella contro il meningococco, l’epatite A o epatite B, e infine l’immunità nei confronti dell’Herpes zoster, in grado di ridurre significativamente il rischio di sviluppare la malattia e la nevralgia post-erpetica, che può durare mesi o anni, uno dei danni più frequenti e debilitanti di questa infezione. “Le coperture negli anziani sono ancora lontane dagli obiettivi minimali” avverte Massimo Galli, responsabile del dipartimento di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano e past president Simit.

L’Herpes zoster, o più comunemente noto come Fuoco di Sant’Antonio, è l’infezione causata dallo stesso virus della varicella, che rimane inattivo nel tessuto nervoso e può risvegliarsi a distanza di molti anni. Colpisce l’80% della popolazione ed è diventato un problema di sanità pubblica.

“Il vaccino anti-Herpes zoster fino ad oggi impiegato in Italia è di tipo vivo attenuato, non indicato per le persone particolarmente immunodepresse – spiega Galli – Tuttavia, dovrebbe essere imminente l’arrivo di un nuovo vaccino a Dna ricombinante, cioè contenente informazioni genetiche del virus, che ha dimostrato un’efficacia di oltre il 90% nei soggetti over 50 e che può essere esteso ai pazienti più fragili, con sclerosi multpla, Hiv, disturbi gastroenterologici. Negli Stati Uniti è usato da almeno un paio d’anni”.

Ampliare il piano vaccinale a nuove categorie di pazienti disegnando percorsi di prevenzione su misura richiede una rete organizzativa più forte. “I pazienti devono essere accompagnati all’interno del sistema con il coinvolgimento sinergico della medicina generale, dei servizi vaccinali e dei centri di cura specialistici presso i quali sono in cura” conclude Laura Sticchi del dipartimento Scienze della salute dell’Università di Genova.

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