Covid e variante indiana, ecco l’identikit

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Covid-19 e variante indiana. Una nuova ordinanza “vieta l’ingresso in Italia a chi negli ultimi 14 giorni è stato in India. I residenti in Italia potranno rientrare con tampone in partenza e all’arrivo e con obbligo di quarantena. Chiunque sia stato in India negli ultimi 14 giorni e si trovi già nel nostro Paese è tenuto a sottoporsi a tampone contattando i dipartimenti di prevenzione”. Lo ha annunciato il ministro della Salute Roberto Speranza, su Facebook.

Una decisone legata al dilagare della pandemia nel continente indiano, dove venerdì sono stati registrati 346.000 nuovi casi. E dove si sta diffondendo una nuova variante che attualmente interessa il 10% circa dei contagi. Per capire di che si tratta abbiamo chiesto lumi a Massimo Ciccozzi, epidemiologo molecolare dell’università Campus Bio-Medico di Roma.

Professore, cos’è la “variante indiana”?
Come sempre accade, diamo il nome alle varianti in base al Paese in cui vengono isolate per prime. In questo caso l’India. Il nuovo ceppo isolato ha la peculiarità di avere due mutazioni concomitanti a carico della proteina Spike, che abbiamo imparato a conoscere in quanto responsabile del riconoscimento del virus da parte delle cellula da infettare. Una mutazione è la L45R e l’altra è la 484, che era già nota nella variante brasiliana e in quella sudafricana. Questa seconda mutazione presenta il cambio di un aminoacido: al posto di un acido glutammico la proteina Spike presenta una glutammina, e quindi si parla di mutazione 484Q (glutammina) invece di 484K (acido glutammico).
Cosa accade con queste due mutazioni? La nostra ipotesi è che esse lavorino in tandem: una permette un migliore riconoscimento tra Spike e cellula da infettare, l’altra favorisce la fusione tra la parete cellulare del virus e la membrana della cellula ospite.

Insomma, si favorisce l’infezione…
Sembrerebbe che questo funzionamento a “doppio click” possa aumentare del 24% la trasmissibilità del virus. Naturalmente per confermarlo dobbiamo terminare gli studi che abbiamo in corso, ma i primi riscontri ci dicono che la trasmissibilità aumenta.

Questa variante è sintomo che il virus sta mutando per sfuggire alla pressione selettiva dei vaccini?
Non è esatto dire così. È più corretto spiegare il fenomeno dicendo che laddove la campagna vaccinale è blanda, cioè interessa una bassa percentuale della popolazione e procede a ritmo lento, si seleziona la variante di virus che ha la migliore fitness per quelle condizioni. Nel caso dell’India, dato che la vaccinazione procede a ritmi molto inferiori a quelli di diffusione del virus, questa nuova mutazione – ricordiamo, sorge in modo assolutamente casuale, come insegna Darwin – risulta più infettiva e prende il sopravvento.

La variante indiana è già stata segnalata al di fuori dell’India?
Sono 24 i Paesi in cui è stata identificata. Nel Regno Unito, circa 77 casi. In Svizzera il primo caso di variante indiana è di pochi giorni orsono. In Italia abbiamo avuto un solo caso a Firenze risalente a marzo.
Vorrei precisare che la differente incidenza dei casi nei vari Paesi dipende da vari fattori. Come la presenza di comunità indiane di grandi dimensioni, che determinano possibili cospicui spostamenti di persone da e per il Paese di origine. Questo è il caso della Gran Bretagna. Ma dipende anche dalla possibilità di sequenziare frequentemente i casi positivi alla ricerca di eventuali varianti. Sempre in Gb già da marzo dello scorso anno si è approntato un sistema che prevede il sequenziamento random del 10% circa dei casi di positività. In Italia, invece, si tratta di una pratica ancora poco diffusa e soprattutto poco costante.

I vaccini oggi sul mercato sono efficaci contro questa variante?
Per quanto sappiamo attualmente, direi di sì. La variante indiana è costituita da mutazioni che interessano alcune delle varianti per le quali l’efficacia dei vaccino è già stata dimostrata.

Cosa ne pensa dell’ordinanza del ministro Speranza rispetto ai rientri dall’India?
Approvo pienamente. L’importante però è che ci sia un sistema di sorveglianza accurato soprattutto per i viaggiatori provenienti dall’India con voli non diretti. Non dobbiamo commettere lo stesso errore che abbiamo fatto con la variante brasiliana, probabilmente entrata in Italia al seguito di viaggiatori partiti dal Brasile con voli che facevano uno scalo europeo e per questo non identificati come soggetti con obbligo di quarantena.

Intanto, come riporta l’edizione odierna del quotidiano Times of India, “la giornata registra il picco più elevato di contagi (in India), 352.991 casi accertati di Covid in 24 ore che fanno salire il numero di contagi totali a oltre 17,3 milioni, e un’impietosa conta dei morti: ben 2.812 che portano la conta totale dei decessi da inizio pandemia a 195.123”.

Così la crisi sanitaria indiana prosegue la sua corsa e il Paese è in ginocchio anche per la mancanza di ossigeno. Tanto che la comunità internazionale si sta mobilitando per portare aiuti umanitari a una popolazione estremamente provata e che rischia un destino simile a quello del Brasile e degli Usa quanto a tributo di vite umane pagato al coronavirus.

Proprio gli Stati Uniti, che sembrano aver imboccato la via d’uscita dalla pandemia, hanno fatto arrivare 318 concentratori di ossigeno per consentire alle strutture sanitarie della capitale New Delhi di fornire questo gas vitale ai pazienti ospedalizzati per il virus. E dal Paese a stelle e strisce sarà donato anche il proprio surplus di 30 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca.

Proprio sul tema vaccini si è espresso anche i primo ministro di Delhi Arvind Kejriwal, che ha lanciato un appello accorato ai produttori di vaccini anti-Covid affinché abbassino il prezzo a 150 rupie per dose, circa 1,6 euro. “Avete una vita intera per guadagnare. Non è questo il tempo di farlo adesso in un momento in cui c’è una pandemia che avanza. Mi appello anche al governo centrale per tagliare i prezzi (dei vaccini) se necessario”.

Ancora una volta, quando in ballo c’è la salute, alcuni interrogativi che danno il braccio all’etica dell’economia andrebbero considerati e le decisioni ben ponderate. Anche perché nel caso di una pandemia come quella che stiamo vivendo, nell’anno 2021 in cui Paesi e Continenti sono tutt’altro che isolati, la guerra contro il virus sarà vinta solo quando l’intera popolazione del globo sarà vaccinata.

Lasciare grandi sacche di popolazione scoperte, come quella indiana, costituirebbe il rischio tutt’altro che remoto di lasciare al virus pericolosi serbatoi da cui far partire nuove fonti di infezione e contagi su scala globale.

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