Ricerca, più fondi e meno burocrazia per farla correre

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Il progresso nelle cure è impossibile senza la ricerca. Tuttavia, per condurre la ricerca clinica in modo efficace, sono necessari maggiori finanziamenti pubblici e procedure semplificate. Questa richiesta proviene dai principali gruppi coinvolti nelle sperimentazioni nel nostro Paese, tra cui l’Alleanza contro il cancro (Acc), la Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti (Fadoi), i gruppi cooperativi oncologici (Ficog), il Gruppo italiano data manager (Gidm) e la Gimema, che si occupa della ricerca scientifica sulle malattie ematologiche.

In un documento inviato alle istituzioni competenti, gli esperti sottolineano la necessità di semplificare e armonizzare le procedure di autorizzazione, stabilizzare il personale precario di supporto (in particolare i coordinatori di ricerca clinica o i data manager) e potenziare le infrastrutture digitali.

Uno dei principali ostacoli che rallentano la ricerca non sponsorizzata dalle industrie in Italia è la frammentazione del sistema. Gli studi multicentrici richiedono l’autorizzazione da parte di tutti i comitati etici dei centri coinvolti, con procedure e richieste di documentazione spesso diverse e ridondanti. Molto spesso gli studi si concludono senza che il centro interessato abbia ottenuto l’autorizzazione del comitato etico di riferimento a causa di lunghe valutazioni. Carmine Pinto, presidente della Ficog, denuncia questa situazione.

“L’approvazione della lettera informativa per il paziente e del modulo di consenso rappresenta un passaggio critico del percorso autorizzativo, che fa emergere le differenze fra singoli regolamenti dei comitati etici territoriali -osserva Dario Manfellotto, presidente della Fadoi. – La richiesta, da parte del comitato etico, di apportare correzioni e integrazioni alla modulistica del consenso informato è molto frequente e onerosa anche in termini temporali, in particolare per le sperimentazioni multicentriche”. Pinto commenta che sarebbe auspicabile adottare un’unica valutazione da parte del comitato etico del centro promotore del progetto, valida per tutti i centri coinvolti. “Non si capisce perché se una ricerca ha valenza etica per un comitato non possa avercela per tutti gli altri” aggiunge Pinto.

Un approccio simile sarebbe in linea con quanto previsto dal regolamento europeo 536 del 2014 sulla sperimentazione clinica dei medicinali, che l’Italia deve ancora recepire. Durante la pandemia, per i protocolli di studio sul Covid, è stato adottato un modello autorizzativo che includeva il parere dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e di un solo comitato etico, quello dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani di Roma. Oggi, un passo avanti potrebbe essere rappresentato dalla bozza di contratto per la sperimentazione clinica no profit elaborata dal Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici territoriali per le sperimentazioni cliniche sui medicinali, istituito presso l’Aifa. Pinto lo definisce un modello auspicabile.

L’attuale sistema ha portato a una riduzione del 4,1% degli studi indipendenti tra il 2018 e il 2019 (ultimo anno disponibile) in Italia. Inoltre, il processo di riforma della legge 3/2018 sulle sperimentazioni cliniche non è ancora stato completato.

“È stato approvato il primo decreto attuativo della legge delega 52 del 2019, ma servono ulteriori decreti ministeriali e provvedimenti di Aifa, Istituto superiore di sanità e ministero dell’Università e della Ricerca, per definire aspetti importanti come l’utilizzo di materiale biologico residuo dagli studi clinici, la cessione dei dati degli studi no profit a fini registrativi, la necessità di procedure operative standard e i requisiti dei centri dalle fasi I alla IV” riassume Gualberto Gussoni, coordinatore scientifico del centro studi Fadoi.

Un altro problema da affrontare è la precarietà del personale coinvolto nella ricerca. Le sperimentazioni cliniche sempre più complesse richiedono nuove figure professionali come i coordinatori di ricerca clinica, gli infermieri di ricerca, i biostatistici e gli esperti in revisione di budget e contratti. Tuttavia, risulta difficile ottenere la stabilizzazione di queste figure professionali all’interno delle strutture sanitarie. Celeste Cagnazzo, presidente del Gidm, afferma “Alcune di queste figure sono richieste dalla normativa in vigore ma risulta quasi impossibile ottenere la stabilizzazione di queste professionalità all’interno dell’organizzazione sanitaria”

“Assistiamo quindi – continua Marco Vignetti, a capo di Gimema – a una estrema difficoltà a ottenere una continuità di prestazioni lavorative e a una costante migrazione di personale esperto e qualificato verso aziende farmaceutiche e organizzazioni di ricerca a contratto, con la creazione di un preoccupante gap professionale che rischia di compromettere l’efficienza e la qualità della ricerca, soprattutto quella di natura accademica. È indispensabile individuare – conclude – con l’aiuto delle Istituzioni, un percorso legislativo per il riconoscimento di tali figure, stabilendo anche i requisiti minimi per i futuri coordinatori di ricerca clinica”.

Investire sulla ricerca indipendente è un diritto di tutti i pazienti. “In Italia non si dà il giusto valore alla ricerca e allo sviluppo clinico, considerandolo qualcosa da delegare al mondo delle imprese private. Nel nostro Paese i dati della ricerca pubblica non possono ancora essere utilizzati per finalità profit. Questo significa che se uno studio indipendente dimostra l’efficacia di un farmaco, l’industria deve sviluppare un alto studio per registrare e commercializzare la stessa molecola” dichiara Pinto.

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