Telemedicina, l’inizio di una nuova era

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La telemedicina con Covid-19 è diventata una realtà anche in Italia, ma la partenza è stata piuttosto caotica. Adesso quali sono le priorità di intervento per una messa a sistema di questa preziosa opportunità? L’abbiamo chiesto a Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto superiore di sanità. Convinto che tra Big data, digitalizzazione e intelligenza artificiale, “siamo all’inizio di una nuova epoca nella storia dell’uomo. Perché non abbiamo mai avuto prima una tecnologia che ci desse la possibilità di avere continuamente tanti dati a disposizione, interoperabili e generati da molti dispositivi connessi fra loro”.

Quali sono le priorità per la messa a sistema della telemedicina nel nostro Paese?

In Italia la telemedicina non esiste dall’anno scorso: ci sono state tante esperienze, alcune anche brillanti. Il fatto è che, nel tempo, c’è stato sempre un muoversi caotico di queste esperienze, dovuto al fatto che i servizi vengono pensati, gestiti e sfruttati tutti a livello locale, in modo indipendente, non coordinato e spesso anche autoreferenziale. Insomma, anche le esperienze positive non sono pensate per durare nel tempo e diventare reali servizi.

Ciò che rende robusto un servizio creato dal nulla non è la tecnologia, ma il fatto di essere costruito a partire dalle reali esigenze di pazienti e professionisti che devono utilizzarlo. Questo sforzo progettuale non può essere improvvisato, ma deve essere impostato in base a evidenze scientifiche e modelli di riferimento coerenti tra loro. E, soprattutto, deve essere in grado di dialogare di facilitare la collaborazione a livelli professionali. Dunque la priorità che abbiamo oggi in Italia è rendere interoperabili tutti i dati utili alla gestione dei pazienti, un elemento fondamentale che ancora non è realtà.

Guardiamo al fascicolo sanitario elettronico: è stato declinato in maniera un po’ diversa nelle varie Regioni e, soprattutto, non può essere utilizzato a fini clinici. Il Centro nazionale ha fatto anche recentemente proposte di re-ingegnerizzazione del fascicolo sanitario elettronico per renderne possibile l’utilizzo a livello clinico. E l’elemento più importante è poter rendere il fascicolo una piattaforma di interoperabilità dei dati sanitari. Anche perché, col tempo, i dati relativi a un paziente non saranno più solo quelli sanitari, ma anche quelli che provengono da altre fonti: i sensori nell’ambiente o sul corpo del paziente, le attività su internet, la geolocalizzazione e molto altro. Dati che dobbiamo poter usare correttamente.

Quali possono essere i benefici attesi per il Ssn e per i pazienti?

Sono di tre tipi. Primo: il paziente potrà interagire a distanza con il medico e gli altri operatori attraverso sistemi di telecomunicazioni come messaggerie, videochiamate, televisite, teleconsulti etc. Ciò aumenterà la frequenza dei controlli, eviterà viaggi inutili, code e assenze dal lavoro, riducendo le liste di attesa per le visite.

Secondo: con una buona interoperabilità nel tempo si potrà monitorare l’evoluzione di un parametro clinico, condividendolo con i colleghi di altre specialità e assicurando un check più puntuale di come cambia nel tempo lo stato di salute o di malattia di una persona. Con questo uso dei dati potremo fare un’attività di prevenzione enormemente più efficace che nel passato. Questo risultato è già oggi possibile con le tecnologie che abbiamo, se solo le usassimo adeguatamente.

Terzo: si potrà dar vita ad una reale medicina personalizzata, elaborando una mole di dati da ognuno di noi, dati aggiornati continuamente, assicurando precocemente la diagnosi e adattando la terapia in modo individualizzato grazie all’intelligenza artificiale. Un interessantissimo progresso medico che renderà molte patologie curabili precocemente, ma che darà anche un estremo impulso alla ricerca biomedica.

Dobbiamo pensare a noi stessi come alle persone che stanno iniziando una nuova epoca nella storia dell’uomo. Siamo testimoni, e anche un poco artefici, della nascita di una nuova medicina.

Ma allora come sarà la telemedicina di domani?

I cambiamenti saranno immensi. Pensi solo alle auto di oggi rispetto a quelle che si accendevano con la manovella. Noi, rispetto all’evoluzione del digitale, siamo come le persone che per prime usavano automobili simili a carrozze. Mai avrebbero pensato ad auto con lo stereo, che ci danno le indicazioni stradali. Noi siamo nella stessa condizione, con l’unica differenza che l’evoluzione del digitale in sanità avverrà in 10-20 anni, contro i 100 anni delle automobili.

Molte strutture sanitarie pubbliche e studi di medici di medicina generale oggi hanno sistemi informatici inadeguati, computer vecchi e sistemi che ’saltano’: esiste un’idea dei bisogni dal punto di vista delle attrezzature?

Si tratta di un grosso problema. Oltretutto la tecnologia digitale si modifica a ritmi vertiginosi: il turnover è di circa 6 mesi, e dopo un anno un oggetto è da considerare sorpassato. Da una parte non possiamo immaginare di sostituire le apparecchiature ogni anno, ma dobbiamo essere anche consapevoli che la capacità di aggiornamento delle macchine e dei software incide sulla possibilità di garantire equità di accesso alle cure. Fondamentale è, ancora una volta, la corretta progettazione dei sistemi di telemedicina. Non serve a nulla distribuire computer e dispositivi digitali a sanitari e pazienti senza aver costruito prima un buon sistema che li fa lavorare correttamente in rete tra loro.

Come evitare che anche quello della telemedicina in Italia diventi un sistema a velocità diverse?

Questo si può fare assicurando fibra, banda larga e ultralarga ovunque. Non è impossibile, anche se nelle zone più remote dovrebbe occuparsene lo Stato, come è stato fatto a suo tempo con le strade. Inoltre il sistema sanitario non dovrebbe essere ingessato dalla burocrazia come invece accade, limitando la capacità del Ssn di evolvere ai ritmi tipici del nostro tempo. Dobbiamo cambiare la modalità di lavoro e di gestione del Ssn, per mantenerlo solido e pubblico, ma capace di progredire per mezzo anche della telemedicina.

Una bella sfida, ma come far dialogare i sistemi fra loro, tutelando allo stesso tempo dati sensibili e appetibili come quelli sanitari?

Ci sono tecnologie d’avanguardia che lo consentono, penso alla blockchain ad esempio, che garantisce la possibilità di difendere il dato e tutelarlo, di tracciare ogni passaggio. Ma non basta: serve costruire sistemi impostati in partenza in modo da tutelare al massimo la riservatezza del dato. In sanità però si considera la difesa del dato come qualcosa di superfluo, che ostacola l’attività quotidiana e la prestazione. Ciò può succedere, in effetti, se si organizzano male le cose. Se invece il sistema si progetta bene fin dall’inizio, rende più tranquilli i sanitari che ci lavorano e i pazienti sono consapevoli di come vengono usati i propri dati. Perché è vero: esiste anche l’intenzione di utilizzare per scopi illeciti il dato sanitario. E proprio da ciò dobbiamo proteggerci.

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