Medicina basata sul valore, tra costi ed efficacia cure

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La medicina basata sul valore (Value Based Healthcare, VHBC) è una metodologia utilizzata nei sistemi sanitari, anche molto diversi tra loro, dal sistema privato americano e olandese a sistemi con maggior peso pubblico come in Svezia. E’ una metodologia che si affaccia nel nostro Paese, che difende il sistema sanitario universalistico, tra tante difficoltà di sostenibilità e di valutazione dell’efficienza.

Nei decenni passati l’introduzione del sistema Drg ha focalizzato l’attenzione e l’impegno degli ospedali sull’efficienza, con ottimi risultati in generale; ora lo stesso impegno si concentra sull’efficacia. La medicina basata sul valore si poggia su una semplice equazione, ovvero esiti diviso costi.

Il valore viene quindi espresso dal miglioramento degli esiti e dalla riduzione dei costi, o perlomeno dal miglioramento degli esiti a costi invariati. La proposta dell’economista di Harvard Porter forse non era del tutto originale, come spesso osservato, ma ha avuto grande diffusione.

Spesso si parla però di medicina basata sul valore senza riportare alcune indicazioni originali della proposta harvardiana, ovvero che i costi devono essere calcolati sull’intero processo e non sulla singola procedura, il che è ovviamente molto più complesso, che i costi non si devono semplicemente ridurre con dei tagli, ma che devono esser commisurati a diverse e produttive allocazioni delle spese, che, infine, non è sufficiente un solo indicatore di esito, ma che occorrono diversi indicatori.

Quindi il calcolo del valore è più impegnativo di quanto possa apparire ad una prima lettura, ma effettivamente rappresenta le dimensioni dell’efficienza e dell’efficacia. E’ necessario sottolineare che la proposta di Porter è eminentemente economica, il valore è un valore monetario, e così viene declinato negli Usa, pur con l’impegno a migliorare gli esiti per incrementare l’afflusso dei pazienti attraverso le preferenze delle assicurazioni, ma anche del sistema pubblico con Medicare.

Il valore economico può divenire un valore professionale. L’Unione Europea indica un valore con 4 dimensioni, tecnico, legato all’economia, allocativo, legato alla distribuzione delle risorse, personale, legato alla diade professionista sanitario-paziente, sociale, legato all’impatto sulla comunità. Una critica molto pronunciata nel nostro contesto nei confronti della Vbhc è proprio indirizzata al significato economico, tipicamente americano, che non ricomprende i risvolti relazionali, etici, sociali, imponderabili nella definizione aritmetica.

Gli aspetti personali e sociali sono stati quindi coinvolti dal documento europeo, ma ricordiamo che un economista ottocentesco che ha dedicato una monumentale opera al valore, che ha avuto conseguenze enormi sulla storia, Carlo Marx, indicava in una nota del suo primo libro del Capitale, forse riprendendo una affermazione dell’abate Galiani, che “il valore è un rapporto tra persone celato nel guscio di un rapporto tra merci”.

Quindi si parte imprescindibilmente dall’economia per introdurre il peso del personale e del sociale che nella salute contano più che in ogni altra attività.

Per calcolare il valore occorre calcolare i costi e , in generale, sono disponibili, pur con la riserva già accennata del calcolo per processo. Il problema principale è la raccolta degli esiti. Nel nostro Paese si è introdotta una cultura del rilevamento degli esiti grazie al Piano Nazionale Esiti, si è legiferato per far partire registi nazionali per patologia, indispensabili per una accurata rilevazione, ma siamo lontani dall’organizzazione di altri Paesi, dove la cultura del risultato e la sua pubblicizzazione sono entrati nella corrente gestione della salute.

Ci sono pochi esempi, inoltre, nel nostro Paese di utilizzo della rilevazione, indipendente e parallela rispetto a quella del clinico, dei Patient Reported Outcome Measurements (PROMs), necessari per comprendere la reale efficacia del trattamento chirurgico, medico e riabilitativo.

Occorre un impegno pubblico su questi temi, per consentire, anche nell’ambito delle sperimentazioni cliniche e delle ricerche internazionali, ai clinici, e ai pazienti, italiani di avere le stesse possibilità di colleghi stranieri, dove la cultura è radicata. Il danese Peter Høeg lo ricorda nell’Effetto Susan, quando la protagonista descrive il marito, medico: “Non è giusto nei confronti di Leban dire che è un uomo del Rinascimento. Gli si rende pienamente giustizia solo aggiungendo che la sua capacità di fabbricare la realtà è così potente che lui per gran parte del tempo vive davvero nel Rinascimento. Prima che esistessero i grandi registri. Prima della sorveglianza digitale. Prima dei big data”.

Gli italiani conoscono il Rinascimento, possono quindi conoscere anche il presente, con i registri, il digitale e i big data.

*Giuseppe Banfi, direttore scientifico dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi e docente dell’Università Vita Salute San Raffaele

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