Pensiamo alla salute psicofisica di bambini e ragazzi

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Intervenire subito per tutelare la salute psicofisica di bambini e adolescenti, provati da Covid-19.

La generazione Z appare stressata, depressa e ossessionata dall’ottenere buoni voti agli esami. Lo conferma una ricerca condotta da Pew Research Centre. Sono stati intervistati 920 giovani americani, di età compresa tra 13 e 17 anni, per conoscere i problemi che affliggono i loro coetanei. Il 70% degli intervistati ritiene che l’ansia e la depressione siano i problemi più importanti tra i loro pari. Gli adolescenti delle famiglie più povere tendono a segnalare una gamma più ampia di problemi comportamentali rispetto a quelli delle famiglie ricche, ma le preoccupazioni sulla salute mentale sembrano influenzare allo stesso modo entrambi i gruppi. Gran parte degli studi svolti finora sulla generazione Z delinea giovani meno edonisti, più educati e più soli che mai.

In Italia, il fenomeno del progressivo mutamento nelle relazioni sociali tra i giovanissimi viene evidenziato dai dati Istat (indagine “Aspetti della vita quotidiana”). Se nel 2003 il 71% dei ragazzi/e, tra gli 11 e i 14 anni, nel tempo libero incontrava gli amici tutti i giorni, quindici anni dopo, nel 2018, la percentuale si riduce di ben 32 punti scendendo al 39%.

Cosa è accaduto negli ultimi quindici anni? Moltissime cose, tra cui la rivoluzione digitale. Nel 2003 solo il 4% dei ragazzi/e, tra gli 11 e i 14 anni, utilizzava internet tutti i giorni. La percentuale sale al 62% nel 2018. Quindici anni dopo. (Fonte: Istat Indagine “Aspetti della vita quotidiana”).

Correlazione interessante. La minor frequenza di incontro, e quindi il bisogno di relazione, è parallela alla nascita e diffusione dei social network (non a caso Facebook ha usato la metafora dell’amicizia), quasi a suggerire la nascita di un servizio in risposta a una domanda. Offerta di piattaforme social che poi ha orientato comportamenti e identità. Un rapporto reciproco tra l’immediato e costante contatto in rete e il diradare le uscite con gli amici. Come sappiamo le correlazioni non indicano rapporti di causa-effetto. È chiaro che si tratta di fenomeni complessi e di variabili multidimensionali che si sono reciprocamente influenzate. Ciò che è interessante comprendere è come stia cambiando la qualità delle relazioni umane.

Prima questione: non incontrare l’altro, diminuisce la possibilità di confronto facilitando quella confusione emozionale che deriva dal proiettare negli altri le proprie fantasie (inconsce)?  Riuscire a configurare l’altro come reale risorsa e non a viverlo come una parte proiettata del sé. Prendere consapevolezza di non essere il centro di Instagram, Facebook o Twitter, che ci sono altre persone e che l”azione prodotta con un post o un RT avrà un impatto sull’altro, assumerà valore collettivo.

Seconda questione: le piattaforme social promettono “vicinanza”, ma stanno favorendo la cultura della chiusura e del rifiuto di ciò che è sconosciuto? Da una parte abbiamo la possibilità di collegarci con persone lontane, che condividono con noi interessi comuni; dall’altra attenti algoritmi ci chiudono in cerchie protette e rassicuranti. Nell’ultima conferenza degli sviluppatori, Zuckerberg ha prefigurato una futura piattaforma di comunicazioni racchiuse in community e gruppi ristretti. Una dinamica di marketing che assume anche un senso emozionale: unire chi è vicino e allontanare chi è estraneo. Come sottolinea lo psicoanalista Renzo Carli, “guardiamo all’etimologia della parola “vicino”: dal latino vicus, che significa casamento, borgo, rione. Vicino, quindi, sta a indicare “chi è dello stesso quartiere”. Nella teoria della coesione difensiva, quando il nemico esterno (al quartiere, al borgo etc.) si prepara minacciosamente ad attaccare, viene bonificata la relazione tra i vicini, per creare una convivenza coesa, atta a fronteggiare la minaccia che viene da fuori, da lontano”. 

Terza questione: stiamo dando spazio a relazioni basate sulla competenza? Relazioni dove interrompere l’agire emozionale, elaborare pensiero, promuovere sviluppo culturale. Spazi dove confrontare idee, produrre atteggiamenti critici, prendere parte alla vita pubblica, costruire una visione. I social network, così come la “cattiva” televisione, sembrano offrire spettacolo, non confronto. E nello spettacolo serve la lotta, la radicalizzazione del conflitto, l’esasperazione dell’aggressività sino all’insulto, l’insofferenza per chi ha altre idee, diverse dalle proprie.

Urge un approfondimento e un’azione di intervento.

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