Farmaci anti-obesità di nuova generazione, verso la svolta

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La pandemia di obesità non accenna a rallentare e anzi, con la restrizione dei movimenti e i lockdown imposti da Covid-19, potrebbe aver subito un’accelerazione. È dunque più che mai urgente trovare delle soluzioni terapeutiche, che certo non possono essere tutte demandate al bisturi della chirurgia bariatrica (ogni anno in Italia si fanno 25 mila interventi), per questioni di costi e di epidemiologia.

Nel 2020 ad essere in sovrappeso era il 39% dell’umanità mentre il 13% degli adulti era francamente obeso; un bambino e adolescente su 5 ricade nella categoria del sovrappeso. Certo, la dieta ipocalorica, associata ad un programma di esercizio fisico continuativo e ben strutturato e ad un adeguato sostegno psicologico a lungo termine (ma d’altronde l’obesità è una malattia cronica), potrebbero fare molto per arginare il fenomeno. Ma in pratica – è sotto gli occhi di tutti – solo sulla carta.

La ricerca sui meccanismi che portano (e mantengono l’obesità) è più che mai vivace, ma non ha avuto finora delle valide ricadute nella ricerca farmacologica.

I farmaci anti-obesità – ricorda su Jama Susan Z. Yanovski, Office of Obesity Research, National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases, Bethesda (Usa) – hanno una storia costellata di problemi di safety; diversi farmaci introdotti sul mercato in passato, sono stati ritirati a breve distanza di tempo, per gravi effetti indesiderati.

E per quanto riguarda quelli ad oggi disponibili, i pazienti non li assumono volentieri, spesso perché delusi dalle loro modeste performance o perché non rimborsati dai servizi sanitari pubblici o dalle assicurazioni, mentre anche tra i medici c’è una grande inerzia prescrittiva. Il risultato di tutto ciò è che negli Usa, una delle nazioni più pesanti del pianeta, tra il 2012 e il 2016, appena il 3% degli adulti alle prese con problemi di peso era in trattamento con farmaci anti-obesità.

Ad oggi, negli Usa sono solo 5 i farmaci approvati dalla Fda per il trattamento a lungo termine dell’obesità: orlistat, fentermina/topiramato, naltrexone/bupropione, liraglutide (un agonista recettoriale di GLP-1 a somministrazione sottocutanea di recente approvato negli Usa anche per il trattamento degli adolescenti con obesità) e dallo scorso 4 giugno, semaglutide.

Quest’ultimo, un agonista recettoriale GLP-1, già approvato per il trattamento del diabete come somministrazione sottocutanea una volta a settimana (e di recente anche in formulazione orale) è stato appena approvato dall’Fda anche per il trattamento dell’obesità (un’iniezione sottocute a settimana al dosaggio di 2,4 mg), sulla scia del programma di studi STEP che ha dimostrato come questo trattamento possa arrivare a far perdere fino a quasi 17 Kg, peraltro con un ottimo indice di gradimento da parte dei pazienti che non abbandonano strada facendo la terapia.

Insomma, al momento questa molecola rappresenta la punta di diamante delle terapie antiobesità disponibili (almeno negli Stati Uniti).

Nel 2020, sempre negli Usa è stato approvato anche setmelanotide (un agonista della melanocortina), per il trattamento di alcune rare forme di obesità monogenica, dai 6 anni in su; un farmaco questo che ha inaugurato la nuova era dei trattamenti anti-obesità ‘di precisione’, mirati cioè proprio ai meccanismi che la sottendono.

I farmaci attualmente disponibili in Italia per il trattamento dell’obesità sono orlistat, naltrexone/bupropione, liraglutide.

E per il prossimo futuro, gli occhi della comunità scientifica sono puntati su tirzepatide, molecola della classe delle ‘twincretine’, (duplici agonisti recettoriali di GLP-1 e GIP), messa a punto per il trattamento del diabete di tipo 2, ma con interessanti risvolti sulla perdita di peso (oltre – 10 Kg nel programma di studi di fase 3 Surpass).

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