Incontri con gli alieni spiegati dalla scienza

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La scienza sta cercando le prove certe della loro esistenza. I film per grandi e piccini li celebrano con mostri paurosi o creature simpatiche, come quelli che appaiono come polipi ad un occhio nelle vicende dei Simpson. E poi c’è chi afferma con certezza di averli incontrati. Gli alieni, buoni o cattivi che siano, riempiono con le loro apparizioni più o meno dimostrate – le segnalazioni non portano a verifiche certe – le cronache dei media.

Spiegare perché alcuni soggetti affermino con dovizia di particolari di aver avuto un incontro ravvicinato non è certo semplice, ma c’è chi ipotizza che alla fine la loro possibile presenza sia da collegare ad una visione onirica.

In pratica, sarebbero i sogni vissuti come reali a guidare la mente delle persone a riferire, in buonissima fede, di aver avuto un incontro con gli alieni. Teoria bizzarra, si dirà, ma scientificamente affascinante. Ad esporla sono Michael Raduga, Andrey Shashkov e Zhanna Zhunusova, del Phase Research Center di Mosca, sulle pagine di International Journal of Dream Research.

Sintesi rapida: chi riferisce un incontro con uno o più alieni o esseri venuti da altre galassie per esplorare la vecchia Terra, oltre ad avere la capacità di essere un “sognatore lucido” avrebbe anche la possibilità di riportare alla mente l’esperienza onirica, considerandola come reale.

L’esperimento degli studiosi moscoviti è semplice, ma al contempo davvero curioso. Si è partiti da un’osservazione di completa “partecipazione” all’incontro con l’alieno, fatta anche di una condizione di coscienza “alterata”, come appunto si può avere nel sonno ed addirittura con presenza di sintomi fisici.

Poi sono stati studiati circa 150 individui che, in qualche modo, riescono ad indirizzare i propri “viaggi” nel sogno, quelli che vengono definiti sognatori lucidi. A tutti loro è stato chiesto di concentrare la loro esperienza onirica sull’incontro con extraterrestri, per poi valutare, una volta svegli, l’impatto dell’esperienza.

Quasi tre quarti dei soggetti, opportunamente indirizzati con il training, ha detto effettivamente nel sogno di avere incontrato esseri provenienti da altre galassie. In circa sei casi su dieci l’essere incontrato aveva le sembianze di quanto visto proprio nelle sale cinematografiche o sullo schermo televisivo, e in quasi un caso si cinque l’alieno non differiva poi molto dall’essere umano classico.

Ovviamente, come mezzo di trasporto, gli alieni utilizzavano spesso astronavi o navicelle spaziali. Infine, e questo è forse l’aspetto più interessante sul fronte della scienza, sono stati rilevati sintomi fisici, come ad esempio una condizione transitoria di paralisi, oppure sofferenza psichica, con grandissima ansia e paura.

I sogni, quindi, a volte possono rivelarsi quanto mai vicini alla realtà. E il vecchio detto sogno o son desto ha una sua precisa ragione d’essere, ovviamente in soggetti capaci di “guidare” le loro esperienza oniriche.

Basta pensare in questo senso al ruolo degli incubi, che addirittura potrebbero entrare in gioco anche in quadri patologici di cuore ed arterie. Se non ci credete, provate a prendere in considerazione lo studio pubblicato su European Journal of Cardiovascular Nursing, condotto dagli scienziati dell’Università Keio di Tokyo coordinati da Takashi Kohno.

La ricerca ha preso in esame oltre 1200 persone ricoverate per patologie cardiovascolari, proponendo ai soggetti questionari mirati a valutare la presenza di incubi a disturbare il sonno notturno.

Nella notte, poi, si sono misurati attraverso rilevatori d’ossigeno eventuali disturbi nel flusso del gas nel sangue. all’interno dell’organismo: poco meno del 15% delle persone osservate ha avuto almeno un incubo al mese e il 3,6% ha avuto almeno un incubo a settimana.

Chi faceva brutti sogni almeno una volta a settimana aveva un rischio quasi quintuplicato si andare incontro a depressione ed ansia, condizioni che certo non aiutano il benessere cardiovascolare.

Non solo: qualche tempo fa è apparso su Brain uno studio italiano che dimostra come in presenza di specifici disturbi del sonno, in associazione ad altri parametri indicativi di alterazioni del funzionamento cerebrale, si può predire il rischio di andare incontro al Parkinson entro breve tempo, appena 2 anni.

La ricerca è stata coordinato da ricercatori dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino – Università di Genova, secondo cui in persone con oltre 70 anni un disturbo comportamentale nel sonno Rem (Rbd – Rem Behavior Disorder), associato a specifici parametri clinici e di neuroimaging, è indice di un rischio quasi sei volte più elevato di sviluppare Parkinson, nei due anni successivi alla diagnosi di Rbd.

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