Ipertensione fuori controllo, dalla polipillola alla digital health

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È una delle principali cause di morte nel mondo, ma la gente sembra ignorarla e le armi per combatterla, a disposizione di tutti per una manciata di centesimi, restano sugli scaffali delle farmacie o chiuse nei cassetti delle case. Questa la triste constatazione fatta dall’ultimo censimento mondiale sull’ipertensione, esaminata in tutte le sue declinazioni, dalla prevalenza, alla diagnosi, al trattamento, al grado di controllo.

E gli esperti lanciano l’allarme: ad avere la pressione sotto controllo è solo 1 iperteso su 5. Per questo le malattie cardiovascolari sono destinare a restare una delle principali cause di mortalità e morbilità per molti anni a venire, soprattutto continuando a non affrontare in maniera adeguata il problema.

Voluto dall’Oms e condotto dai ricercatori della Non-Communicable Disease Risk Factor Collaboration in 184 Paesi del mondo, la ricerca appena pubblicata su Lancet rivela una triste realtà, intessuta di disuguaglianze e mancate opportunità, riassumibili in una frase: metà della nutrita schiera degli ipertesi del pianeta nel 2019 non risultava neppure in trattamento.

Che poi, tradotto in cifre, significa 720 milioni di persone lasciate completamente in balia di questo cruciale fattore di rischio per malattie cardiovascolari. E per trovarle basta andare nelle nazioni a basso reddito.

Infatti, mentre Canada, Corea del Sud, Islanda, Usa e Germania hanno fatto passi da gigante nella lotta all’ipertensione, almeno sul fronte del trattamento e del controllo dei valori, i Paesi dell’Africa Sub-Sahariana, l’Oceania e, in Europa, Paesi come l’Ungheria e la Polonia non hanno fatto registrare grandi cambiamenti.

Ma non mancano le eccezioni. Delle preziose best practice sono rintracciabili anche in Turchia, in Cile e in Kazakistan. Anche se il ‘Nobel’ della lotta all’ipertensione va al Costa Rica, che negli ultimi anni ha raggiunto tassi di trattamento e di controllo pressorio, tali da far impallidire anche ai Paesi ad alto reddito.

E intanto, nell’arco degli ultimi 30 anni, è raddoppiato nel mondo il numero degli ipertesi, passato da 331 milioni di donne e 317 milioni di uomini nel 1990 a 626 milioni di donne e 652 milioni di uomini nel 2019, una stima che sfiora insomma il miliardo e 300 milioni di persone.

Ma la distribuzione degli ipertesi non è uniforme in tutti i Paesi. I tassi più bassi si registrano in Canada e Perù (1 abitante su 4 iperteso) e, in Europa tra le donne di Svizzera, Spagna e Gran Bretagna.

Il record negativo spetta invece a Paraguay e Tuvalu, dove metà delle donne è ipertesa. Per trovare metà della popolazione maschile ipertesa bisogna andare invece in Argentina, Paraguay, Tagikistan e in alcuni Paesi dell’Europa Centrale e dell’Est (Ungheria, Polonia, Lituania, Romania, Bielorussia e Croazia).

In Italia, secondo gli autori dello studio, l’ipertensione interessa il 28,6% delle donne, ma solo il 65,3% ne è consapevole, solo il 58% è in trattamento e appena il 32,9% mostra valori pressori sotto controllo. Le cose vanno peggio tra gli uomini; il 39,1% dei maschi è iperteso, solo il 59,3% ne è consapevole, appena la metà degli ipertesi (51%) è in trattamento e solo il 24,6% è in buon controllo pressorio.

Tra le policy di prevenzione, suggeriscono gli esperti, bisognerebbe includere l’accesso ad un’alimentazione più sana, con poco sale e tanta frutta e verdura. Ma a far rabbia è soprattutto il fatto che, nonostante l’ipertensione sia facile da diagnosticare e da trattare, con farmaci ormai decisamente low-cost, nel 2019 il 41% delle donne e il 51% degli uomini ignorava di essere iperteso, oltre la metà delle donne (53%) e degli uomini (62%) non risultava in trattamento e infine solo una donna su 4 e un uomo su 5 di quelli trattati mostrava un buon controllo dei valori pressori.

Numeri che raccontano tante occasioni perse, pari agli 8,5 milioni di morti che ogni anno vengono sacrificati sull’altare della pressione alta nel mondo. Eppure le armi per frenare questa strage ci sono, come visto, e varrebbe dunque la pena usarle.

Gli esperti ritengono infatti che un adeguato controllo dei valori pressori porterebbe ad un abbattimento del numero di ictus del 35-40%, di infarti del 20-25% e a dimezzare i casi di insufficienza cardiaca.

E un grande aiuto per abbattere questi numeri potrebbe venire dal digitale. “C’è un bisogno urgente di trasformazione e di approcci innovativi – scrive Clara Chow dell’Università di Sydney, Australia, in un editoriale di commento – per ridurre il peso globale dell’ipertensione. Servono nuove strategie per migliorare la diagnosi e la gestione di questa condizione, facendo leva sulle cure primarie o sui sistemi già esistenti, ma anche individuando nuovi metodi per coinvolgere direttamente le persone nella sua gestione”.

E viste le grandi differenze nei tassi di prevalenza, trattamento e controllo a livello mondiale, la declinazione e l’implementazione di questi programmi non può che essere locale.

Per l’ipertensioen vale insomma il principio del think global, act local. E da un punto di vista medico, un grande aiuto può venire dalla trasformazione digitale, dal telemonitoraggio, al monitoraggio domiciliare della pressione, agli Sms per ricordare ai pazienti di assumere i farmaci e ad altri interventi di digital health, volti ad incoraggiare uno stile di vita sana.

Per raggiungere lo scopo, potrebbe essere utile anche una semplificazione dei regimi medici, come l’uso di una polipillola (in una sola pillola possono essere contenuti fino a 4-5 principi attivi diversi) per effettuare una terapia di combinazione già come trattamento iniziale.

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