Poca acqua? Sodio nel sangue svela rischi di scompenso

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L’acqua, dopo secoli di ‘purgatorio’ si prende finalmente la sua rivincita sullo scompenso cardiaco. Da sempre demonizzata e tagliata in quantità dal quotidiano dei pazienti con le caviglie gonfie e il fiato corto, come appunto quelli con insufficienza cardiaca, viene adesso suggerita come possibile alleato per la prevenzione di questa condizione.

A ribaltare il suo ruolo nei pazienti dai cuori stanchi è uno studio importante, presentato al congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc) e siglato da Natalia Dmitrieva del National Heart, Lung and Blood Institute, parte dei National Institutes of Health americani.

I risultati di quest’analisi, condotta su circa 16 mila adulti di 44-66 anni, arruolati nello studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) e seguiti per 25 anni, ha infatti rivelato che mantenere un buon livello di idratazione nel corso della vita può prevenire o almeno rallentare le alterazioni del cuore che portano allo scompenso cardiaco.

“Questo significa – commenta la Dmitrieva – che dovremmo fare attenzione alla quantità di liquidi che assumiamo tutti i giorni, prendendo provvedimenti se ci si accorge che stiamo bevendo troppo poco”.

Ma quanto bisognerebbe bere ogni giorno? Non è possibile indicare una quantità precisa, perché il fabbisogno idrico varia a seconda del clima e dell’attività fisica. Gli esperti suggeriscono comunque di mantenersi su un range di 1,6-2,1 litri di liquidi al giorno per le donne e 2-3 litri per gli uomini. Anche se, troppo spesso, si tende a bere meno del necessario, come dimostra uno studio internazionale condotto nel 2015.

Una maniera abbastanza precisa per valutare il proprio stato di idratazione è quella di misurare il livello di sodio nel sangue che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non mostra fluttuazioni a breve termine, rimanendo abbastanza stabile anche per lunghi periodi.

Se si beve troppo poco, il livello di sodio nel sangue tende a salire; l’organismo se ne accorge e, nel tentativo di risparmiare acqua – spiegano gli autori dello studio presentato all’Esc – innesca una serie di processi che possono contribuire allo sviluppo di insufficienza cardiaca.

Partendo da questa constatazione, i ricercatori americani sono andati a valutare se la concentrazione di sodio nel sangue, utilizzata come biomarcatore del livello di idratazione nella mezza età, fosse in grado di predire lo sviluppo di insufficienza cardiaca 25 anni più tardi.

Gli autori dello studio hanno valutato anche la correlazione tra stato di idratazione e ispessimento delle pareti del ventricolo sinistro (ipertrofia ventricolare sinistra), un precursore della diagnosi di scompenso cardiaco.

I soggetti arruolati nello studio sono stati divisi in quattro gruppi a seconda delle loro concentrazioni di sodio nel sangue (135–139,5; 140–141,5; 142–143,5 e 144–146 mmol/l), rilevate nel corso delle prime due visite; all’interno di ognuno di questi gruppi, i ricercatori sono andati a vedere la percentuale di persone che 25 anni più tardi aveva sviluppato ipertrofia ventricolare sinistra e insufficienza cardiaca.

In questo modo sono riusciti a individuare un livello soglia di sodiemia – pari a 142 mmol/l – al di sopra del quale aumentava il rischio di sviluppare scompenso cardiaco. È interessante notare che questo valore si trova ancora nel range di normalità indicato dai laboratori (135-145 mmol/l) e quindi non è considerato ‘patologico’. Ma alla luce dei risultati di questo studio dovrebbe essere attenzionato e portare al consiglio di aumentare l’assunzione di liquidi in una persona di mezz’età.

“I risultati della nostra ricerca – afferma la Dmitrieva – suggeriscono che mantenere un buono stato di idratazione per tutta la vita consente di ridurre il rischio di sviluppare ipertrofia ventricolare sinistra e insufficienza cardiaca, nel corso degli anni. Inoltre, aver evidenziato che una sodiemia superiore a 142 mmol/l, sebbene nel range della normalità come valore di laboratorio, si correla con un aumentato rischio di eventi avversi cardiaci, può attirare l’attenzione dei medici su quelle persone che avrebbero bisogno di un’attenta revisione del loro stato di idratazione”.

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