Affamare il tumore per batterlo, la strategia di Valter Longo

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Riuscire ad affamare il tumore per renderlo più sensibile alle terapie. È l’obiettivo che da anni persegue Valter Longo, direttore del programma di ricerca su Longevità e Cancro presso Ifom, Istituto Firc di Oncologia Molecolare di Milano, autore di numerose pubblicazioni scientifiche su prestigiose riviste proprio su questo argomento.

tumore Longo

In concomitanza con l’uscita del suo libro “Il cancro a digiuno”, edito da Vallardi, abbiamo approfondito insieme a lui qual è il ruolo della cosiddetta dieta ‘mima-digiuno’ e il suo impatto sul metabolismo per aiutare a prevenire e curare il cancro. Ecco cosa ci ha detto.

Professor Longo, la sua attività di ricerca in ambito nutrizionale si è focalizzata anche sulla comprensione della relazione esistente tra dieta e tumori. Sia in termini di prevenzione, che di supporto alle terapie convenzionali per la lotta al cancro quali chemio e radioterapia. Quali sono i dati scientifici in nostro possesso?

Il nostro primo paper scientifico su questo argomento risale al 2008. In questi anni si sono aggiunti molti altri dati ottenuti in vivo sia sugli animali che sull’uomo. Alla luce di ciò che sappiamo oggi, c’è già una parte del mondo scientifico che è convinto che agire anche sulla dieta dei malati di tumore sarà una parte importante della terapia in futuro. Rimane peraltro una grossa fetta di specialisti che ritiene di voler vedere i risultati di altri studi clinici per farsi un’opinione definitiva.

Oltre ai dati preclinici e clinici, anche una ragione teorica supporta l’idea che una dieta specifica possa contrastare il cancro. Il tumore infatti, attaccato dalle terapie convenzionali, non vuole essere in una condizione di carenza di nutrienti. Al contrario, vuole avere quanto più nutrimento possibile per resistere a farmaci, radioterapia ecc.

Per quanto riguarda la prevenzione dei tumori con una dieta specifica, siamo partiti dall’osservazione di alcune popolazioni sulle montagne dell’Ecuador, portatrici di una mutazione genica, che pur osservando una alimentazione non sana le rendeva raramente affette da tumori. Dal momento che i geni che accelerano i tumori sono attivati dalle proteine, abbiamo studiato la popolazione americana e visto che chi assumeva meno del 10% delle calorie sotto forma di proteine aveva un rischio quattro volte inferiore di sviluppare cancro rispetto a chi traeva dalle proteine oltre il 20% della propria energia.

Si tratta di dati epidemiologici, che messi insieme al resto della letteratura scientifica in materia, rendono chiaro come una dieta ricca in calorie e in proteine influenzi negativamente l’insorgenza dei tumori.

Per quanto riguarda la terapia, esistono numerosi studi incluso il nostro pubblicato recentemente su Nature, che indicano che associando una dieta mima-digiuno con la terapia ormonale nei topi si riesce a controllare la crescita del tumore alla mammella finanche a curarli, a fronte di ampi insuccessi terapeutici della terapia standard con i farmaci. Negli animali i risultati sono eclatanti.

Nel più grande studio clinico randomizzato sull’uomo, condotto l’anno scorso su 131 pazienti, si vede una grossa differenza in termini di risposta alla terapia antitumorale tra le donne che hanno seguito la dieta mima-digiuno e quelle che non l’anno fatta. Il 27% di chi non seguiva la dieta non rispondeva alla terapia, a fronte dell’11% di chi la seguiva, arrivando fino al 5% nelle pazienti che erano riuscite a seguire molti cicli di dieta.

Abbiamo citato più volte questa dieta mima-digiuno. In cosa consiste esattamente?

Si tratta di un regime alimentare da tenere per 4-5 giorni a bassa percentuale di calorie, basso apporto calorico, bassi livelli di zuccheri, alte percentuali di grassi vegetali. L’obiettivo è renderla, per l’organismo, molto simile al digiuno completo, ma più accettabile dai pazienti.

La dieta affama-tumore può essere adatta a tutti o ci sono delle restrizioni, per esempio in base all’età, al genere o ad altre caratteristiche del singolo paziente?

Questo regime alimentare è indicato nella fascia di età 18-70 anni. Però l’oncologo deve decidere caso per caso se questa dieta può essere abbinata alla terapia standard. E anche decidere se è sostenibile dal paziente, in funzione di eventuali fragilità già in essere.

Qual è il riscontro della comunità scientifica che si occupa della presa in carico delle persone con tumore rispetto alla strategia da lei proposta?

Come scrivo nel libro c’è molta attenzione e attesa. Il problema è che ciascuno studio clinico volto a indagare se e come funziona la relazione tra dieta mima-digiuno e la terapia standard, è realizzato utilizzando le molecole disponibili in quel momento come terapia per un determinato tipo di tumore.

Gli studi richiedono tempo per la loro realizzazione e validazione. Ed è possibile che una volta che, una volta dimostrato che la dieta funziona in abbinamento a quel farmaco, lo standard of care per quel tumore sia cambiato in virtù dell’innovazione farmaceutica introdotta nella pratica clinica. Dovremmo trovare un modo più veloce e flessibile di valutare se e come associare dieta e farmaci (che cambiano nel tempo). Naturalmente tenendo sempre al primo posto la sicurezza del paziente.

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