Celano (Apmarr): Cronicità sospesa per Covid e telemedicina

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Sospensione della cronicità per Covid-19. A sintetizzare così quello che è accaduto nei quasi due anni di pandemia da Covid-19 è Antonella Celano, presidente Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (Apmarr) che, analizzando le potenzialità della telemedicina nella gestione della cronicità per il paziente con patologie reumatologiche, sottolinea: “A questo punto è ovvio che c’è bisogno di una riorganizzazione del sistema delle cure”.

Ma in questi mesi quali criticità hanno incontrato i pazienti con malattie reumatiche?
Partiamo col dire che la cronicità non può essere sospesa, però così è stato in pandemia. Le persone si sono viste cancellare controlli, follow up, prime visite. Non è stato possibile fare diagnosi precoci, e buona parte delle visite di controllo non è stata recuperata. Pensiamo cosa vuol dire sul fronte dell’assunzione dei farmaci, le persone ne hanno interrotto autonomamente l’assunzione a causa del mancato follow up. Spesso le persone non sono nemmeno riuscite a parlare con un Cup per capire quando, e se, la prenotazione cancellata poteva essere recuperata.

E questo è successo in tutta Italia, anche se in alcune aree la situazione è stata peggiore. Lo scorso anno la nostra associazione ha commissionato a We Research una ricerca dalla quale sono scaturiti dati a dir poco inquietanti: nei primi mesi del 2020 abbiamo avuto un 40% in meno di diagnosi precoci rispetto agli anni precedenti, con punte del 70% al Sud. Quindi ci siamo trovati, come al solito, con un’Italia divisa in due. Immaginiamo quanto queste mancate diagnosi precoci si ripercuoteranno negativamente, negli anni futuri, sui costi sociali legati alle nostre patologie.

Si è parlato molto di una rifondazione della sanità territoriale nel post-Covid. La medicina di famiglia e i grandi Centri sul territorio devono poter dialogare meglio di quanto fatto finora. In che modo la telemedicina può contribuire, favorendo oltretutto l’accesso all’innovazione?

Abbiamo potuto sperimentare in questi mesi tutta una serie di servizi anche innovativi. Le prime linee guida sulla telemedicina risalgono a diversi anni fa, ma telemedicina e terapie digitali non erano state implementate fino a Covid-19. Ora bisogna far tesoro dell’esperienza accumulata con la pandemia, e puntare su sistemi che siano interoperabili. Non possiamo avere 21 differenti fascicoli sanitari elettronici, non possiamo avere decine di sistemi diversi di telemedicina… e non dobbiamo vanificare quanto appreso finora.

Come far dialogare i sistemi fra loro, tutelando allo stesso tempo dati sensibili (e appetibili) come quelli sanitari?

Occorre progettare fin dall’inizio questi sistemi in modo che siano interoperabili, ed essere consapevoli del fatto che i dati sensibili vanno tutelati perché fanno gola a molti. Non è possibile utilizzare con leggerezza social e Whatsapp, strumenti che non sono ‘difesi’. Non c’è in ballo solo la privacy, e penso a quanti devono utilizzare questi sistemi: dai cittadini agli operatori sanitari. Ecco perché è importante fare formazione: la cittadinanza va formata all’uso corretto e consapevole di questi strumenti digitali, non solo dal punto di vista della salute. Occorre costruire le competenze digitali, mettere a sistema gli strumenti disponibili e “scolarizzare” gli utenti.

Quali possono essere i benefici attesi per quanto riguarda i pazienti con malattie reumatiche?

Sono sotto gli occhi di tutti: chi è riuscito ad utilizzare le tecnologie per restare in contatto con il proprio medico anche in lockdown ha potuto dialogare costantemente con il proprio specialista, seguire i suoi consigli e ‘tarare’ le terapie, magari utilizzando anche sistemi ‘non professionali’. Chi però non c’è riuscito è stato penalizzato e ha avuto serie difficoltà, tanto da arrivare ad un peggioramento del proprio stato di salute.

Come sarà dunque, o come dovrebbe essere, la telemedicina di domani?

Noi chiediamo una formazione della cittadinanza, perché anche a distanza una persona può essere protagonista del percorso di cura. Penso all’importanza dei corsi di self-management: un paziente che sa monitorare l’andamento della sua malattia non vedrà peggiorare il proprio stato di salute.

Quali sono allora, secondo lei, le priorità per la messa a sistema della telemedicina nel nostro Paese?

Gli investimenti devono essere fatti in modo oculato e mirato. E’ necessario formare cittadini e operatori, in modo che i sistemi siano efficaci e davvero utilizzabili. Inoltre ribadisco che è fondamentale l’interoperabilità dei sistemi. Dobbiamo spiegare bene quali strumenti sono oggi a disposizione e quali opportunità offrono: non è detto che tutti conoscano le potenzialità di questi sistemi e le differenze tra telemonitoraggio, televisita, teleconsulto e così via. Dobbiamo inoltre comprendere che c’è chi ha timore perché ha poca familiarità con questi strumenti. Infine occorre salvaguardare il rapporto-medico paziente: alcuni gesti sono importanti, occorre mantenere l’empatia e il rapporto umano, ben sapendo che in alcuni casi la visita in presenza non può essere sostituita dalla televisita.

Come evitare che anche quello della telemedicina in Italia diventi un sistema a velocità diverse?

In una logica di equità – d’accesso, di cura e di trattamento – differenze di questo tipo non dovrebbero esistere. Mi auguro che, dal momento che adesso avremo disponibilità anche economiche per implementare i servizi sanitari, questi fondi vengano impiegati anche per uniformarli. Il diritto alla Salute, fortunatamente, nella nostra Costituzione non è regionalizzato.

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