L’era dei robot, il lavoro e la roboetica

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L’uomo si stacca dall’animale quando inizia a produrre e utilizzare utensili. Oggi, a migliaia di anni di distanza, questa vecchia regola dell’antropologia non è mutata. Ma sono cambiati gli utensili, che sempre più spesso si chiama robot. Il loro ruolo preferenziale? I sistemi fanno soprattutto manipolazione, saldatura ed assemblaggio, anche se entrano in molti altri processi produttivi.

Nel mondo, stando ai dati dell’International Federation of Robotics (IFR) a fine 2019 erano 2 milioni e 722.000 i robot operanti ed oggi probabilmente abbiamo superato quota tre milioni.

“Ma attenzione: ogni tre robot venduti al mondo almeno due sono in Asia mentre l’Europa “pesa” in termini quantitativi per il 12% dei robot – segnala Domenico Appendino, ingegnere e presidente della Siri (Società Italiana di Robotica Industriale), nell’ambito di un convegno tenutosi nell’ambito di Emo Milano, in corso alla Fiera del capoluogo lombardo – L’Italia, in questo senso, stando sempre alla stessa fonte aveva poco più di 74.000 impianti, mentre in Cina, sempre considerando i dati relativi al 2019, siamo di poco sotto gli 800.000 impianti”.

Insomma. E’ passato tanto tempo dal famoso concetto di Aristotele che nel 322 ricordava che se ogni attrezzo potesse fare il lavoro assegnato non “avremo apprendisti, operai e schiavi del signore”. E non dobbiamo immaginare i robot industriali come quelli dei racconti di fantascienza di Isaac Asimov e nemmeno alle fabbriche descritte da Tempi moderni di Charlie Chaplin.

Solo esiste ancora una sfida importante: dobbiamo fare in modo che questi “utensili” moderni siano gestiti, oggi e soprattutto domani con la diffusione dell’Intelligenza Artificiale, non vadano contro le classiche regole della robotica e soprattutto si inseriscano in un percorso etico.

La sintesi degli esperti in questa nuova disciplina, la “roboetica”, è che il lavoro va concentrato in un’esperienza che porta alla serenità di donne e uomini. Ma soprattutto, se riconsideriamo la logica del robot come utensile moderno, dobbiamo considerarlo come uno strumento che l’uomo gestisce. Sempre e comunque.

Grazie al robot, si può migliorare il il lavoro ridurre i rischi e la fatica per l’uomo. Addirittura proteggerne la salute. L’importante, insomma, è che l’uomo sia al centro e “governi” il progresso in questo settore, perché le macchine debbono essere sempre al servizio dell’uomo e non viceversa. Il che impone scelte morali e leggi che governino la progettazione dei robot.

“Occorre che il governo dell’intelligenza artificiale di un robot vada sempre fatto in base a regole decise dall’uomo, sotto forma ad esempio di algoritmi, che consentano la gestione della macchina senza togliere ad essa la capacità di adattarsi a quanto specifiche situazioni richiedono – spiega Appendino – Con il crescente utilizzo dell’intelligenza artificiale solo attraverso un codice etico per la progettazione di software e robot potremmo utilizzare al meglio le potenzialità di questi dispositivi, evitando di correre il rischio che la componente umana non venga presa in considerazione dalla macchina”.

La sfida per il futuro della roboetica è quindi tracciata. Bisogna puntare a realizzare macchine che abbiano capacità di riprogrammazione autonoma grazie a un percorso di autoapprendimento continuo che permetta il massimo adattamento del robot all’impiego previsto.

Secondo Appendino. occorre lavorare da un lato sulla capacità dei sensori che debbono costantemente informare il robot inducendo la risposta ottimale al processo, dall’altro sulle opportunità che sempre più verranno offerte dall’intelligenza artificiale.

Grazie ad essa, il robot sarà sempre più in grado di gestire in modo autonomo processi di autoapprendimento e quindi non solo di adattarsi a quanto gli si presenta, ma anche di “imparare lavorando” a gestire meglio la propria funzione, magari prevedendo delle situazioni in base all’esperienza.

Un esempio? In ambito meccanico, in questo modo, oltre che ad un miglior utilizzo dello sfruttamento delle risorse economiche per l’azienda, anche in un guadagno dei tempi di produzione e di calcolo.

Dimentichiamo quindi i robot “da film”. “Oggi un robot industriale, macchina con almeno tre assi indipendenti regolabili elettronicamente in modo flessibile, muove pezzi o utensili per aiutare l’uomo nel lavoro ed è già da tempo “intelligente” perché riesce ad autoregolarsi proprio grazie ai sensori di cui è dotato – conclude Appendino – Con applicazioni sempre più importanti ed invasive dell’intelligenza artificiale il robot sarà in grado di rendersi sempre più indipendente utilizzando processi di autoregolazione più complessi che supereranno il semplice adattamento del suo programma determinato da quanto rilevato dai sensori. L’importante è che sia sempre l’uomo a dettare le regole attraverso gli algoritmi che deve decidere sempre e solo lui”. La roboetica punta proprio a questo.

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