Salute dopo Sars-Cov-2, l’approccio One Health

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La gestione della pandemia dovuta al virus Sars-CoV-2 è stato il più probante degli stress test per i sistemi sanitari nazionali di tutto il mondo e ha obbligato a rivedere paradigmi consolidati per mettere in atto vere rivoluzioni quotidiane per contenere l’emergenza. Questo perché un agente patogeno nato in ambiente animale ha compiuto il cosiddetto “salto di specie” e ha attaccato l’uomo.

C’è da stupirsi? Assolutamente no. È un percorso che negli ultimi quarant’anni hanno percorso anche l’Hiv, l’Ebola, la Sars, l’Influenza aviaria, Zika. Secondo i Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) il 75% delle malattie infettive emergenti è di origine animale. L’importanza di un dialogo tra i sistemi che si occupano di salute umana e quelli che si occupano di salute animale non potrebbe emergere in modo più netto.

L’approccio moderno e strutturato alla salute non può non essere che olistico. Esiste una sola salute, “One Health”, concetto ampio e comprensivo che riguarda tematiche legate alla salute umana, animale e ambientale. Concetto collegabile a documenti di strategia sanitaria proposti dall’Oms sin dal 1978 (dichiarazione di Alma Ata). Concetto evidentemente non applicato, se Qu Dongyu, direttore generale della FAO e Presidente dell’Alleanza tripartita per One Health (Oms, Oie, Fao) nella recente riunione dei ministri della Salute del G20 tenutasi a Roma, ha ribadito come il mondo abbia, oggi, “l’occasione di rafforzare i metodi collettivi e collaborativi per prevenire pandemie future attraverso un approccio “One Health”, universale e inclusivo”, e come un’azione coordinata ed efficace contro Covid-19 comporti una maggiore collaborazione transfrontaliera, intersettoriale e interdisciplinare, le cui azioni “riconoscano come la salute dell’uomo sia legata alla salute degli animali e dell’ambiente”.

Siamo in ritardo, quindi. La buona notizia è che possiamo recuperare, e anche velocemente. E’ per questo che di One health si parlerà l’11 novembre a Roma nel corso di “Accelerare la sanità digitale”, evento che metterà attorno ad un tavolo esperti nazionali ed internazionali, industria farmaceutica, associazioni sanitarie, mondo accademico e istituzionale. L’evento intende promuovere risposte alle minacce alla salute pubblica e fornire consigli tecnici su come ridurre questi rischi.

I Big Data consentono di mettere a sistema una mole immensa di informazioni provenienti dalla più svariate fonti. L’Intelligenza artificiale potrà (può già, in certa misura) partire da queste informazioni per trarne modelli ed elaborare soluzioni. Ciascuno dei “mondi” di cui sopra (sanità per l’uomo, per gli animali, ambiente) possiede una mole straordinaria di dati raccolti attraverso piattaforme informatiche. La nostra sfida, ora, è farle dialogare e mettere a fattor comune tutte le informazioni, nell’ottica di tutelare al meglio proprio quel bene supremo che è la salute e contribuire nel contempo al raggiungimento degli obiettivi definiti da Ue e G20 rispetto alla sostenibilità abientale.

A problemi globali, come le pandemie, non è possibile fornire risposte individuali. Tutti coloro che hanno a cuore la salute delle persone dovrebbero eliminare ogni ‘gelosia’ riguardo ai dati, favorendo un dialogo virtuoso per creare sistemi di scambio e condivisione aperti e partecipativi. La tecnologia che può fungere da “raccordo” tra tutte queste fonti esiste. Non siamo ancora nel migliore dei mondi (sanitari) possibili, ma potremmo arrivarci se supportati da una volontà politica e sociale precisa, quella del dialogo.

L’Alleanza Tripartita considera universalità, legittimità, inclusività, coerenza e responsabilità i cinque principi fondamentali per investimenti e azioni di governo più forti e più sostenibili, al fine di migliorare le capacità di preparazione e di reazione contro le pandemie. Una dichiarazione di principio assolutamente condivisibile. Ora bisogna passare alla fase attuativa.

Il fatto che l’Istituto Superiore di Sanità italiano abbia preso l’impegno nel Piano strategico 2021-2023 per promuovere la crescita della capacità multidisciplinare necessaria per le sfide sanitarie complesse a livello nazionale e internazionale è un ottimo punto di partenza. Nel nostro Paese, le Regioni possono essere veri pivot di una riforma epocale basata su una visione di lungo periodo per arrivare alla fase attuativa di una strategia “One Health”.

In un’ottica di virtuoso dialogo tra pubblico e privato, sono certo che le imprese dei vari settori connessi alla salute siano pronte a fare la propria parte per la “messa a terra” di infrastrutture informatiche sistemi tecnologici.
Chiedersi se con la perfetta implementazione della strategia One Health sarebbe stato possibile evitare la pandemia da Sars-CoV-2 è poco più di una suggestione retorica. Quel che è importante è mettere a frutto quanto appreso in questi terribili mesi, accelerare i processi di innovazione, rendere strutturali taluni cambiamenti per farsi trovare preparati nel caso (incerto ma ahimé tutt’altro che remoto) di future crisi sanitarie.

Ormai il monitoraggio dell’ambiente, del cibo e di molti altri fattori determinanti di salute, insieme alla rivoluzione genomica sono elementi imprescindibile per curare meglio ed in modo sostenibile ogni individuo del pianeta.

Sulla pandemia, Tedros Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, lo ha detto chiaramente: “Qualsiasi sforzo per rendere il nostro mondo più sicuro è destinato a fallire, a meno che non si affronti l’interfaccia critica tra persone e agenti patogeni”. In altre parole, a meno che tutti gli attori coinvolti non sottoscrivano una sorta di “patto sociale per la salute” per pensare e agire in ottica ‘One Health’. Ma la pandemia, oggi, è solo la punta dell’iceberg.

*Giorgio Moretti, presidente e fondatore di Dedalus

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