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Insufficienza cardiaca, la ‘rivoluzione’ parte in Lombardia

insufficienza cuore
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E’ la prima causa di ricovero tra gli over 65, oltre che la prima causa di morte tra le malattie cardiovascolari in Italia. L’insufficienza cardiaca solo in Lombardia nel 2020 ha causato 26.735 ricoveri, con un tasso del 13,7% di re-ospedalizzazione e del 9,2% di mortalità a trenta giorni. Per non parlare del peso sul sistema sanitario regionale: il costo medio annuo di un paziente lombardo con scompenso cardiaco è di circa 11.100 euro, di cui l’80% è dovuto proprio ai ricoveri.

Dopo le fasi più pesanti dell’emergenza Covid, è arrivato il momento di riaccendere i riflettori sulla gestione delle patologie croniche, sulla ridefinizione dei percorsi di cura e sulla relazione medico-paziente. Per questo Novartis ha promosso Orione.Ita: osservatorio per la gestione delle cronicità. Una serie di think-tank che hanno coinvolto esperti e manager sanitari con l’obiettivo di analizzare lo scenario attuale, criticità e gap da colmare, e definire le buone pratiche cliniche necessarie per un nuovo modello di presa in carico del paziente con insufficienza cardiaca in Lombardia. Il dialogo ha coinvolto diversi poli d’eccellenza a livello nazionale per il trattamento della patologia, con l’intenzione di avviare un progetto-pilota nell’area di Milano.

“Dovremmo modificare profondamente il nostro approccio all’insufficienza cardiaca, a partire dal linguaggio che utilizziamo per parlarne – sottolinea Maria Frigerio, direttore della Cardiologia 2- Insufficienza cardiaca e trapianto dell’Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano – Nel resto del mondo si parla di insufficienza cardiaca in riferimento alla condizione cronica, e di “scompenso” o meglio di “insufficienza cardiaca scompensata” per indicare le fasi di aggravamento o di acuzie che spesso portano al ricovero. Questo a rimarcare che lo stato di “scompenso” non rappresenta la “normalità” in questi pazienti. Un secondo aspetto importante è l’approfondimento della diagnosi, quindi della causa della disfunzione cardiaca, che troppo spesso è trascurata: per questo tutti i pazienti, di qualunque età, meritano almeno una volta nella vita una valutazione specialistica cardiologica approfondita“.

“L’80% dei pazienti con scompenso cardiaco che passano in pronto soccorso viene, ad oggi, ricoverato – sottolinea Fabrizio Oliva, direttore della Cardiologia 1- Emodinamica, Unità di cure intensive cardiologiche dell’Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano – Un dato allarmante per quei pazienti anziani e poli-patologici che non traggono benefici dal ricovero. Si rende necessario identificare precocemente i pazienti a basso rischio e affidarli agli ambulatori dedicati sul territorio, riducendo gli accessi ai pronto soccorso e molti ricoveri che, invece, potrebbero essere evitati. Per questi pazienti sarebbero, inoltre, auspicabili appuntamenti di controllo a breve termine e più frequenti, programmati direttamente dal medico di famiglia in collaborazione con il cardiologo di riferimento”.

La nuova primary care non può prescindere da un team multidisciplinare, da percorsi personalizzati e da strumenti di monitoraggio in remoto e telemedicina, che permettano al medico di famiglia e allo specialista di condividere in tempo reale i dati inerenti alla storia clinica del paziente. Secondo Marco Bosio, direttore generale dell’Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, gli strumenti per dare avvio ad un nuovo percorso strutturato ed evoluto per la gestione dei pazienti scompensati non mancano. L’esperto pensa a un modello che si basa su percorsi dedicati e che indirizza i pazienti in strutture dedicate e decentrate, utilizzando anche la telemedicina (televisita e telemonitoraggio).

Secondo Cittadinazattiva e Aisc (Associazione Italiana Scompensati Cardiaci) la definizione di un nuovo percorso di cura dovrà tenere conto anche delle condizioni sociosanitarie della persona con insufficienza cardiaca. Fondamentali in quest’ambito i medici di famiglia che, in Italia, gestiscono in media 250 pazienti ultrasettantenni. Sono proprio i medici di medicina generale a conoscere eventuali comorbidità dei pazienti e a sapere se vivono soli, magari in condizioni abitative precarie.

Nel nuovo modello di gestione dell’insufficienza cardiaca, sarà quindi proprio il medico di medicina generale ad essere il punto di riferimento principale di questi pazienti, semplificando anche le procedure di prenotazione di visite mediche e controlli di follow-up, in modo che non si sentano ‘persi’, specialmente dopo un ricovero in ospedale. Anche attraverso il confronto con gli specialisti di riferimento, a cominciare dal cardiologo e, poi, internista, diabetologo e geriatra, per pianificare controlli ed interventi extra, che esulino dal percorso stabilito a priori.

L’importanza di stabilire e mantenere, anche nella rete, un rapporto personale medico-paziente è stata ribadita anche da Nicola Montano, direttore di Medicina generale – immunologia e allergologia del Policlinico di Milano: “Sappiamo come le conseguenze della pandemia abbiano prodotto effetti deleteri sulla continuità di cura nei pazienti cronici. Definire precise tempistiche per i controlli di follow-up, a partire dal primo appuntamento già fissato al momento della dimissione fino a controlli più a lungo termine, è oggi quantomai fondamentale. Ecco perché la presa in carico del paziente con insufficienza cardiaca è un lavoro di squadra in cui la regia dev’essere affidata al medico di base, confidando anche nell’adozione di un modello di pianificazione efficace quale il Piano Assistenziale Individualizzato. Il ruolo del medico di medicina generale sarà sempre più centrale: dal monitoraggio dei dati del paziente al trade union con gli specialisti, in un’ottica di collaborazione e confronto, anche grazie al ricorso alla telemedicina con l’ausilio di altre figure professionali, come l’infermiere specializzato nello scompenso cardiaco o l’infermiere di famiglia”.

“Il progetto Orione.Ita è frutto di un approccio aperto e collaborativo tra tutti gli attori del sistema salute – commenta Gaia Panina, Chief Scientific Officer di Novartis Farma – Una gestione efficiente e sostenibile delle patologie croniche non può, infatti, più prescindere dalla condivisione di buone pratiche e competenze. Un percorso condiviso che, auspichiamo, possa tradursi presto in vantaggi concreti per la salute dei pazienti con insufficienza cardiaca in Lombardia e che possa diventare modello da applicare in futuro ad altre patologie croniche”.

Il progetto pilota per la città di Milano

Il decalogo delle buone pratiche cliniche sarà la base dello sviluppo di un progetto pilota in un’area della Lombardia. L’iniziativa favorirà l’integrazione ospedale-territorio e prevederà un percorso personalizzato di presa in carico del paziente. Gli elementi chiave saranno proprio una chiara identificazione e stratificazione del rischio, la definizione dei riferimenti di invio allo specialista o al territorio, una nuova modalità di follow-up e l’introduzione del monitoraggio da remoto.

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