Alzheimer, diagnosi precoce con l’intelligenza artificiale

molecola declino cognitivo
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Metti l’intelligenza artificiale italiana a lavorare su una enorme banca dati internazionale che arriva da oltreoceano, in particolare dagli Stati Uniti, su migliaia di pazienti affetti da malattie neurodegenerative, e il risultato diventa importante.

E’ il caso dello studio che stiamo per raccontarvi che riguarda l’indagine sui meccanismi che concorrono a produrre l’Alzheimer, la malattia che “ruba la memoria e l’identità” a milioni di pazienti. Si tratta di una ricerca realizzata dal Cast, Centro di Studi e Tecnologie Avanzate e dal Dnisc, Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’Università di Chieti.

Lo studio condotto dal gruppo coordinato dal professor Stefano Sensi, direttore del Dnisc, ha analizzato la possibilità di diagnosi precoce di malattia di Alzheimer attraverso l’utilizzo di tecniche di machine learning ed intelligenza artificiale. L’algoritmo che ha permesso lo studio è firmato dal team italiano di Asc27, società leader nel settore di produzione di AI.

Lo studio si è incentrato sull’analisi del peso che hanno fattori presenti fuori e dentro il cervello nel produrre la transizione che porta da una condizione iniziale e potenzialmente trattabile quale il deficit cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment o Mci) alla demenza.

“L’algoritmo che abbiamo messo a punto insieme ad Asc27 – spiega Stefano Sensi – è andato ad analizzare centinaia di dati di risonanza magnetica cerebrale, neuropsicologici, liquorali ed ematici raccolti da una coorte di centinaia di pazienti presenti nel database internazionale Dell’adni (Alzheimer Disease Neuroimaging Initiative). L’obiettivo era cercare di capire quali di questi fattori avesse più peso per allenare la macchina nell’identificare fra i soggetti Mci chi fosse destinato ad avviarsi alla demenza. La sorpresa è stata che l’intelligenza artificiale, con un approccio che si muove senza ipotesi a priori e dunque senza i “pregiudizi” dell’intelligenza umana, ha evidenziato delle associazioni fra variazioni di fattori extracerebrali come per esempio i livelli di alcuni acidi biliari e la possibilità di sottostanti processi neurodegenerativi. Questo è in linea con un fenomeno che sta sempre di più affascinando i neuroscienziati e cioè quello della “gut-brain connection”, un legame stretto, anche da un punto di vista patogenetico, fra sistema nervoso e apparato gastrointestinale”.

I risultati della ricerca, in corso di pubblicazione sul Journal of Alzheimer’s Disease, aprono scenari interessanti ed a oggi ancora largamente inesplorati, che hanno potenziali importanti implicazioni diagnostiche e terapeutiche. Va sottolineato che il modello messo a punto dallo studio garantisce un’ottima accuratezza. Come spiegano Davide Nardini e Giorgio Maria Mandolini, i tecnici trentenni di AI di Asc27 che hanno ideato l’algoritmo: “Il modello, grazie all’uso di nuove variabili individuate dall’intelligenza artificiale, ha raggiunto in alcuni casi una precisione del 98%”. Come dire che se questo algoritmo dice A, è A nel 98% dei casi.

Se oggi la ricerca ha riguardato una fascia di persone già a rischio e con primi sintomi lievi, in un domani molto vicino le stesse metodiche potrebbero essere applicate anche a soggetti sani e offrire la possibilità di prevedere per tempo il rischio di sviluppare Alzheimer. Un piccolo esempio tutto italiano delle grandi opportunità offerte dall’utilizzo delle tecniche di intelligenza artificiale applicate in ambito biomedico.

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