Covid e crollo delle nascite, -12.500 nei 9 mesi 2021

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Nell’Italia alle prese con la pandemia da Covid-19 continua l’emorragia di nascite. Un fenomeno iniziato ben prima di Sars-Cov-2, che però il virus sembra aver accentuato. E il 2021 si prepara a segnare un altro record  negativo per la natalità. Se un Paese senza neonati è un Paese senza futuro, l’Italia non è messa benissimo.

Ma vediamo gli ultimi dati del report Istat. Nel 2020 i nati sono 404.892
(-15 mila sul 2019), con il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) che si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica.

E la denatalità prosegue nel 2021: secondo i dati provvisori di gennaio-settembre le minori nascite sono già 12 mila 500, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo del 2020.

“Per capire gli effetti negativi della pandemia sulle nascite – ci spiega il pediatra Italo Farnetani, docente alla Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche United Campus of Malta – basta guardare i dati di settembre, che con ottobre rappresenta il bimestre storicamente dove si concentra il massimo numero di nati”.

Ebbene, “se confrontiamo settembre con gli anni precedenti si vede che dal 2019 al 2020 c’è stata una riduzione di 583 neonati: erano stati 38.502 nel 2019 per ridursi a 37.919 nel 2020. A settembre di quest’anno, poi, c’è stata una riduzione di ben 1.225 neonati, più del doppio dell’anno precedente”. I bebè sono stati appena 36.654. “Questo dimostra quanto è stato forte l’impatto della pandemia”.

Ma l’esperto legge il fenomeno in senso positivo. “Quando si concepisce un figlio, i genitori gli vogliono assicurargli le migliori condizioni ambientali e di sicurezza: il fatto che si rimandi la nascita di un figlio in pandemia è dunque un segno di maturità da parte dei genitori, incide di scelte consapevoli e del fatto che vengono evitate le gravidanze indesiderate”, sottolinea Farnetani.

Ma vediamo gli altri dati. Il numero medio di figli per donna scende nel 2020 a 1,24 per il complesso delle residenti, da 1,44 negli anni 2008-2010, anni di massimo relativo della fecondità.

Se si guarda indietro, scopriamo che dal 2008 le nascite sono diminuite di 171.767 unità (-29,8%). Un calo attribuibile per la quasi totalità alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (316.547 nel 2020, oltre 163 mila in meno rispetto al 2008).

Si tratta – rileva l’stat – di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. In questa fascia di popolazione le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti.

Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995. A partire dagli anni duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane, ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust. Ma l’apporto positivo dell’immigrazione sta lentamente perdendo efficacia, man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente.

A diminuire sono soprattutto le nascite all’interno del matrimonio, pari a 259.823 nel 2020, quasi 20 mila in meno rispetto al 2019, 204 mila in meno nel confronto con il 2008 (-44,0%). Ciò è dovuto anche al forte calo dei matrimoni che si è protratto fino al 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (rispetto, ad esempio, al 2008 quando erano 246.613) per poi proseguire con un andamento altalenante.

E, proprio come la pandemia, la denatalità come abbiamo detto prosegue nel 2021. Una “forte diminuzione” da mettere in relazione – secondo l’stat – con il dispiegarsi degli effetti negativi innescati dall’epidemia da Covid-19, che nel solo mese di gennaio 2021 ha fatto registrare il maggiore calo di sempre (quasi 5.000 nati in meno, -13,6%).

La fase di calo della natalità avviatasi nel 2008 si ripercuote soprattutto sui primi figli (47,5% del totale dei nati): nel 2020 sono 192.142 – oltre 8 mila in meno sul 2019, pari a -4,1%; -32,5% sul 2008. Complessivamente i figli di ordine successivo al primo sono diminuiti del 27,3% nello stesso arco temporale.

La forte contrazione dei primi figli rispetto al 2008 interessa tutte le aree del Paese – compresa la provincia autonoma di Bolzano che fino all’anno scorso era l’unica a presentare un lieve aumento – ed è superiore a quella riferita a tutti gli ordini di nascita in quasi tutte le regioni italiane del Nord e del Centro. Tale fenomeno testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli; problematica diversa rispetto all’inizio del millennio quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio.

Rispetto al 2008 i primi figli si sono ridotti soprattutto al Centro (-36,8%), con l’Umbria che presenta la diminuzione più accentuata (-41,6%). Anche le regioni del Nord registrano diminuzioni significative, con il calo maggiore in Valle d’Aosta (-46,6%).

Tra le cause del calo dei primi figli, l’Istat segnala “la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale”.

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