Covid, variante Omicron e il paradosso inglese

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Mentre i contagi da Covid-19 crescono in Gran Bretagna, e così pure la presenza della variante Omicron, un elemento incuriosisce gli osservatori: è il “paradosso inglese”, esaminato nei giorni scorsi sul Foglio in un’interessante analisi del ‘cattivo scienziato’ Enrico Bucci, biologo e docente presso la Temple University di Philadelphia.

La questione è presto detta: come mai in una Gran Bretagna dove da settimane i casi di Covid-19 sono in salita, 82.886 solo nelle ultime 24 ore, i decessi sono analoghi o inferiori a quelli conteggiati in Italia? Sempre tenendo conto dei dati di ieri, nel nostro Paese – a fronte di 24.259 nuovi casi – abbiamo avuto 97 morti, contro i 45 in GB.

Ebbene, a questi numeri manca un dato importante, come ci spiega Fabrizio Pregliasco, virologo, ricercatore del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi.

“Il dato chiave, infatti, è quello relativo al numero dei tamponi, che in Italia da sempre è nettamente inferiore rispetto a quello britannico, come si evince anche dalla questione relativa alla diffusione della variante Omicron in Italia”, sottolinea Pregliasco. Di che numeri parliamo? A fronte di 1.598.910 test Oltremanica, ieri in Italia ne sono stati fatti appena 566.300. E, anzi, dall’istituzione del green pass il testing è cresciuto in Italia.

“La popolazione britannica, cioè, è molto più testata di quella italiana; come sappiamo, questo significa che conseguentemente si troveranno molti più positivi in quel Paese – scrive anche Bucci – se volessimo immaginare una proporzione lineare, circa tre volte di più. Questi positivi in più, naturalmente, visto che le due popolazioni sono circa della stessa grandezza, saranno prevalentemente soggetti paucisintomatici o asintomatici, cioè soggetti che non moriranno se non in pochissimi e rari casi”.

“Ecco perché – ci dice Pregliasco – è difficile fare un paragone: nel nostro Paese c’è un sommerso importante composto da asintomatici e paucisintomatici, perché le persone con sintomi più o meno importanti più difficilmente sfuggono” al testing.

“Guarda caso – rileva ancora Bucci sul Foglio – in Inghilterra il rapporto tra morti e positivi riportato nel famoso “paradosso” è circa tre volte inferiore a quanto si osserva in Italia; ora, per quello che abbiamo detto, è possibilissimo che questo sia dovuto semplicemente al fatto che nel denominatore italiano mancano due terzi di positivi, asintomatici o paucisintomatici e non intercettati”.

Ma i morti ieri in Gran Bretagna erano decisamente meno rispetto a quelli italiani. Come mai? Qui entra in gioco anche la questione della composizione della popolazione: “L’età media in Gran Bretagna è un po’ più bassa rispetto alla nostra – continua Pregliasco – e abbiamo visto in questi anni di pandemia che a rischiare di più nel caso di Covid-19 sono le persone più avanti negli anni e con patologie. Infine bisogna vedere come i Paesi conteggiano i decessi”.

Noi infatti consideriamo ogni positivo al tampone deceduto nell’elenco delle vittime, “mentre non tutti i Paesi utilizzano lo stesso sistema di classificazione dei decessi. Ecco perché è complicato fare un confronto tra i diversi Paesi”, aggiunge Pregliasco.

Insomma, i numeri sono importanti, ma possono essere letti in modi differenti. E se le scelte del nostro Paese sono nel mirino, dovremmo riflettere anche sul fato che – pur non avendo optato per un ‘liberi tutti’ all’inglese – fino ad ora siamo riusciti a ottenere una convivenza con il virus decisamente sostenibile per salute ed economia.

Ora però dalla Gran Bretagna arriva la segnalazione che il sistema sanitario è sotto pressione, “ed è proprio questo il problema. In Italia – riflette il virologo – abbiamo ancora margine per evitare una crisi della sanità. Ecco perché sono convinto che occorra mettere in campo una serie di interventi ulteriori, dallo smart working al distanziamento, con modalità progressive in caso di peggioramento dello scenario. Elementi che la popolazione deve conoscere, per essere preparata”.

Come dire: dobbiamo conoscere lo scenario più brutto, anche per essere consapevoli “che la responsabilità nell’evitarlo è di ciascuno di noi, e che le scelte che facciamo nella vita di tutti i giorni contano davvero”, conclude Pregliasco.

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