Farmaci Covid, tra nuove raccomandazioni Oms e il caso Zitromax

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Continua l’attività di valutazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sul “repurposing” dei medicinali, cioè sull’opportunità di utilizzare farmaci già approvati per altre patologie per contrastare i sintomi da Covid. Tra le novità comunicate dall’Organizzazione ginevirna, che ha analizzato i dati scientifici emersi da sette trial clinici che hanno coinvolto oltre 4mila pazienti con Covid-19, il placet per baricitinib.

Questo farmaco, già usato per il trattamento dell’artrite reumatoide e prescrivibile in ospedale secondo le indicazioni dell’Agenzia italiana del farmaco anche per alcune casistiche di infezioni da Covid, diviene fortemente raccomandato da Oms per i pazienti Covid con un quadro clinico da severo a moderato in combinazione con i corticosteroidi. I dati scientifici indicano con una moderata certezza che l’impiego di questo mix di farmaci migliora la sopravvivenza all’infezione e riduce il bisogno di ventilazione, senza aumentare gli effetti collaterali della terapia.

Secondo gli esperti dell’Oms baricitinib produce effetti così simili a quelli di altri medicinali per l’artrite, gli inibitori dell’interleuchina 6, da giustificare la scelta di uno o dell’altro farmaco a seconda del costo, della disponibilità e dell’esperienza clinica del singolo ospedale.

Raccomandazione, ma condizionata, anche per sotrovimab. In questo caso cambiamo classe di farmaci e ci spostiamo nel mondo degli anticorpi monoclonali, cioè di farmaci biologici che possono essere somministrati per via endovenosa e solo in ambiente ospedaliero. La raccomandazione all’uso di questo medicinale per i pazienti Covid è circoscritta a coloro che sono ad alto rischio di ospedalizzazione, giacché per i quadri clinici a basso rischio i benefici sono estremamente bassi. Stessa sorte secondo Oms anche per l’accoppiata di monoclonali casirivimab-imdevimab.

Nel frattempo, in Italia impazza la psicosi per la carenza di farmaci utilizzati per la cura dell’infezione da Covid in ambiente domestico, riportandoci al lontano marzo 2020 quando gli scaffali delle farmacie scarseggiavano di specialità medicinali dalla presunta efficacia contro il virus diffusasi sul web.

Questa volta il protagonista è l’antibiotico azitromicina (Zitromax). Di cui i cittadini stanno facendo incetta nelle farmacie sotto casa. E via con i titoli altisonanti di una parte della stampa italiana, sulle carenze di cure anti-Covid. Peccato che ciò non corrisponda a verità. Come riporta il sito di Aifa nella scheda relativa a questo prodotto: “La mancanza di un solido razionale e l’assenza di prove di efficacia nel trattamento di pazienti Covid-19 non consente di raccomandare l’utilizzo dell’azitromicina, da sola o associata ad altri farmaci con particolare riferimento all’idrossiclorochina, al di fuori di eventuali sovrapposizioni batteriche”.

Ma l’Aifa va anche oltre, e sottolinea che non esistono antibiotici efficaci contro Covid-19. “L’azitromicina, e nessun antibiotico in generale, è approvato, né tantomeno raccomandato, per il trattamento di Covid-19. Come ampiamente dimostrato da numerosi e ben condotti studi clinici pubblicati sulle migliori riviste internazionali, non vi è alcuna evidenza che l’utilizzo dell’azitromicina abbia un effetto protettivo sulla evoluzione di Covid-19, né in termini di riduzione della trasmissione, né dei tempi di guarigione, o della mortalità. Esistono evidenze chiare e inequivocabili per non utilizzare più in alcun modo azitromicina o altri antibiotici nel trattamento del Covid-19, come chiaramente indicato da tutte le linee-guida internazionali per il trattamento dell’infezione da Sars-CoV-2″.

“L’uso indiscriminato dell’azitromicina o di ogni altro antibiotico, oltre a non avere alcun fondamento scientifico, espone al duplice rischio di creare condizioni di carenza di antibiotici per i soggetti che ne abbiano effettivamente bisogno per trattare infezioni batteriche e di aumentare il rischio di sviluppo e diffusione di batteri resistenti agli antibiotici”. A questo proposito, Aifa chiarisce che, “dalle verifiche effettuate, la carenza attuale non deriva da esportazioni o altre anomalie distributive, ma dalla prescrizione del farmaco al di fuori delle indicazioni previste”.

Analoga posizione da parte della Società italiana di medicina generale (Simg), nel documento ‘Indicazioni per trattamento domiciliare pazienti Covid’: “Dall’inizio dell’epidemia di Covid-19, per il trattamento precoce di questa infezione sono stati proposti antibiotici con proprietà immunomodulatorie come l’azitromicina. Tuttavia, la terapia antibiotica per il trattamento di un’infezione virale è inefficace e non raccomandata”.

“Le evidenze della letteratura scientifica non supportano l’uso dell’azitromicina nel trattamento del Covid-19, […] gli antibiotici non dovrebbero essere prescritti a casa a meno che non vi sia un forte sospetto clinico di una superinfezione batterica durante il corso di Covid-19, come evidenziato da una ricomparsa di febbre dopo un periodo di defervescenza e/o evidenza radiologica di polmonite di nuova insorgenza e/ o evidenza microbiologica di infezione batterica”.

Cosa confermata anche dal direttore Clinica Malattie Infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova Matteo Bassetti, che ha dichiarato: “L’azitromicina è un antibiotico antibatterico che serve nella terapia di alcune infezioni batteriche, ma non serve a niente nella cura di Covid. La domanda è: serve l’azitromicina nella cura del Covid? C’è un dato o uno studio che dica che serve a qualcosa? Che fa guarire prima? Che riduce gli accessi in ospedale? Che riduce la mortalità? Nulla di tutto questo. Sapete a cosa serve? A produrre batteri resistenti, di cui l’Italia è piena più di ogni altro Paese europeo. Nelle infezioni virali come Covid gli antibiotici non devono essere utilizzati, salvo in alcuni casi molto selezionati. Molto selezionati, meno del 2% del totale. Basta usare l’azitromicina e gli altri antibiotici nel Covid. Non servono. Creano resistenze e poi mancano per chi ne ha veramente bisogno”.

“Pagheremo duramente l’abuso di antibiotici di questi 2 anni”, commenta Pietro Brambillasca, anestesista rianimatore dell’ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo che ha combattuto in prima linea le ondate di contagi e ricoveri sin dalla primavera 2020.

Oltre ai medici, questo tipo di informazione preoccupa i giornalisti (quelli seri), che svolgono il proprio lavoro con il rigore con cui meritano di essere trattati temi delicati come quelli relativi alla salute e alla pandemia. E che lavorano nel rispetto del Testo Unico dei doveri del giornalista, che all’articolo 6 comma b) indica: “Il giornalista evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate”.

Del resto, basterebbe prestare orecchio al richiamo alla moderazione rivolto proprio alla stampa dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nell’ultima cerimonia del Ventaglio: “In ogni ambito circola il virus dell’autoreferenzialità, della configurazione del proprio ruolo come centrale nella vita sociale. Questo rischio è molto presente nella politica: personalmente rammento continuamente a me stesso di tenerlo lontano. Mi permetto di segnalarlo anche al mondo del giornalismo, dove affiora, talvolta, l’assioma che un’affermazione non smentita va intesa come confermata, così che una falsa notizia può essere spacciata per vera perché non risulta smentita. Nell’ormai innumerevole elenco esistente di testate stampate, radiotelevisive e online, di siti, di canali social, si tratta di una pretesa piuttosto stravagante. Ad esempio, vista la diffusa abitudine di trincerarsi fantasiosamente dietro il Quirinale quando si vuole opporre un rifiuto o di evocarlo quando si avanza qualche richiesta, il presidente della Repubblica sarebbe costretto a un esercizio davvero arduo e preminente: smentire tutte le fake news, fabbricate, sovente, con esercizi particolarmente acrobatici. Faccio appello, dunque, alla professionalità dei giornalisti e alla loro etica professionale”.

Ciononostante, il virus del sensazionalismo e del giornalismo urlato continua a contagiare una certa parte di chi si occupa di informazione.

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