Deficit di AADC, diagnosi precoce per terapie efficaci

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“Ogni giorno di ritardo nella diagnosi è un giorno perso in termini terapeutici”. Alberto Burlina, Direttore della U.O.C. Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Padova, torna più volte nel corso della intervista che ci ha rilasciato sulla importanza di scoprire prima possibile l’esistenza di una malattia metabolica rara, soprattutto per condizionarne l’evoluzione.

”La prevenzione – sottolinea Burlina – è la parola chiave nelle malattie genetiche, se vogliamo successi non solo dal punto di vista diagnostico ma anche terapeutico”. Nel deficit di AADC, in particolare, la diagnosi precoce consente di intervenire quando ancora non si sono manifestati i sintomi e di prevenire danni cerebrali o motori che si rivelano spesso difficili da recuperare, e terapie inappropriate.

Lo screening neonatale esteso nel nostro Paese è inserito nei Livelli essenziali di assistenza dal 2016 e prevede attualmente la ricerca di 49 malattie metaboliche rare generate da errori congeniti del metabolismo. Rappresenta potenzialmente una opportunità anche per la diagnosi di deficit di AADC. Lo screening consiste in un semplice test non invasivo, eseguito tra le 48 e le 72 ore di vita del neonato attraverso il prelievo dal tallone di poche gocce di sangue, esaminate poi da una Spettrometria di Massa Tandem.

La metodica sperimentata dal prof. Burlina utilizza lo screening neonatale per la ricerca di un biomarcatore, la 3-O-metildopa (3-OMD), che aumenta nel sangue in caso di deficit di AADC. Questo biomarcatore si avvicina dal punto di vista molecolare alla tirosina, già inserita nelle analisi standard dei programmi di screening neonatale per identificare la tirosinemia. Programmando le apparecchiature per riconoscere la 3-O-OMD, attraverso lo screening neonatale si può ottenere un primo indizio della malattia, in un momento in cui il neonato non ha ancora alcun segno di essa ed è indistinguibile da un neonato sano. “Se la 3-O-metildopa è aumentata – precisa Burlina -, siamo di fronte ad un possibile caso di deficit di AADC e possiamo procedere ad esami più mirati e specifici per confermare, eventualmente la diagnosi. Attraverso un percorso diagnostico differenziale, che prevede altri esami biochimici per il dosaggio dei neurotrasmettitori cerebrali e l’indagine genetica, si può giungere alla diagnosi definitiva”.

L’esame permette, quindi, di orientare alla diagnosi di deficit di AADC senza alcun aggravio di costi, utilizzando un test, lo screening neonatale esteso, eseguito comunque di routine su tutti i neonati. Può rivelarsi, inoltre, essenziale per migliorare l’efficacia della terapia genica, che si giova della somministrazione precoce, e consentire la terapia delle cosiddette forme mild, che hanno un decorso più lento, con manifestazioni più tardive, non aggressive nei primi mesi e anni di vita, quindi spesso sottovalutate, e che traggono anch’esse beneficio da terapie effettuate precocemente.

Infine, l’utilizzo di questa semplice metodica di indagine può mettere a nostra disposizione informazioni e dati utili a fini epidemiologici, attualmente insufficienti per questa malattia, ancora poco conosciuta. E rovescia un paradigma tipico delle malattie genetiche, che vede la diagnosi intervenire dopo l’esordio clinico. In questo caso, al contrario, la diagnosi anticipa la manifestazione dei primi sintomi e consente di prevenirne i danni grazie alla precocità dei trattamenti terapeutici.

Continueremo ad approfondire l’argomento nella pagina dedicata al tema al seguente link: https://www.fortuneita.com/deficit-di-aadc-giocare-di-anticipo-con-la-diagnosi-precoce/

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