Infermieri tra Covid e media, lo studio

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Come dimenticare la foto di Elena Paglierini, l’infermiera dell’ospedale di Cremona addormentatasi stremata sulla tastiera del computer, che ha fatto il giro del mondo?
Anche grazie ai media, che hanno dato voce diretta agli operatori sanitari in trincea fin dal primo giorno della pandemia, è stata resa giustizia al lavoro degli infermieri.

Il recente articolo “Italian nurses’ Covid-19 experiences from mass media interviews: a qualitative study”, pubblicato su Journal of Preventive Medicine and Hygiene ,ha analizzato come è stata dipinta la figura dell’infermiere dai giornalisti italiani, evidenziando come impegno, dedizione e professionalità di questi camici bianchi siano stati riconosciuti dalle istituzioni e dai cittadini.

Quattro i temi principali che emergono dalle 23 interviste prese in esame, pubblicate tra il 7 e il 29 marzo 2020: gli effetti psicosociali, la modifica del modo di relazionarsi con i pazienti, la sicurezza personale e il riconoscimento del proprio ruolo.

“Ci siamo trovati in una situazione durissima, inattesa, e senza la formazione utile a fronteggiare un’emergenza di questo calibro. Nonostante l’impego della nostra categoria sia stato massimo, siamo stati travolti psicologicamente”, dice a Fortune Italia la presidente della Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche (Fnopi) Barbara Mangiacavalli. Concordando su quanto evidenziato dalla ricerca: gli infermieri che hanno dovuto assistere direttamente i malati di Covid hanno vissuto periodi caratterizzati da un’ansia costante.

Da un lato per il senso di inadeguatezza rispetto alla possibilità di aiutare davvero i malati (non c’erano né vaccini né linee guida definite per l’assistenza sanitaria specifica). Dall’altro per la paura di infettarsi e di portare il contagio a colleghi e ai propri familiari. Un quadro aggravato dal fatto di dover lavorare in condizioni di carenza di personale rispetto alle richieste di intervento negli ospedali “derivante da anni di tagli al personale sanitario e da scarsi investimenti in formazione”, precisa Mangiacavalli.

Una frustrazione a cui si aggiungeva il non poter interagire come di consueto con i malati. Tute protettive, mascherine e visiere non consentivano di instaurare l’empatia tipica che contraddistingue il rapporto tra infermiere e paziente. Ciò nondimeno, trovandosi a essere l’unico punto di contatto e comunicazione tra i ricoverati e i loro familiari, costretti a separarsi all’ingresso dei Pronto Soccorso o, peggio, sull’uscio di casa al momento di salire sull’ambulanza.

Quanto al riconoscimento del ruolo, gli infermieri (come i medici) sono stati spesso chiamati “eroi” all’interno di cronache che sembravano reportage provenienti dal cuore di un conflitto bellico. Eroi in camice bianco, che in molti casi non hanno smesso di sottolineare che “svolgevano solo il proprio dovere, come sempre. Continuando a prendersi cura dei propri pazienti perché orgogliosi di essere infermieri e perché amanti del proprio lavoro”.

Ad aver fatto la differenza nel portare a conoscenza del pubblico il ruolo e il lavoro degli infermieri probabilmente è stato anche il modo in cui noi della stampa abbiamo riportato la loro voce. Senza filtri, facendo arrivare hashtag del tipo “#Stateacasa, non vanificate il nostro lavoro”, così come venivano lanciati da dietro i vetri dei reparti Covid, divenuti off-limits per tutti tranne che per malati e per dottori e infermieri. Il tono accorato, talvolta un misto di avvilimento e disperazione, è così arrivato nelle case degli italiani e nelle stanze delle istituzioni. Consentendo di aumentare nei cittadini il riconoscimento del ruolo e del lavoro degli infermieri.

Chiosa la presidente Fnopi: “Riconosco molto del nostro lavoro nel quadro descritto da questa ricerca. E sono lieta che i giornalisti abbiano imparato a distinguere tra infermieri e altre figure sanitarie. Prima della pandemia si parlava quasi solo di medici. Il resto degli operatori della salute era comunicata come una categoria unica. A quasi due anni di distanza dalle interviste prese in esame, devo però evidenziare che stanno riemergendo alcune delle criticità del pre-Covid. I cittadini, anch’essi molto provati da questi due anni di pandemia, ricominciano ad aggredire sia fisicamente che verbalmente gli infermieri. Oltre ai presidi delle forze dell’ordine nei Pronto soccorso e nelle attività di assistenza domiciliare, occorrerebbe una campagna di comunicazione alla popolazione volta a spiegare che l’infermiere è un alleato del malato”.

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