Non autosufficienza: ci si pensa a 40 anni, il report

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Superuomini sì, ma consapevoli di un futuro in cui si potrà avere bisogno di aiuto.
La fotografia dei giovani tra i 30 e i 40 anni, ancora in pieno vigore, è quella di persone con lo sguardo già rivolto a trovare il modo di premunirsi in caso di necessità di assistenza per la non autosufficienza di cui potrebbero avere bisogno nella terza età. Tanto da iniziare a mettere da parte riserve o ad attivare polizze assicurative per poter pagare i servizi assistenziali alla propria salute quando saranno anziani.

A metterlo nero su bianco è il quarto Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas Bocconi, sponsorizzato da Essity, occasione per aggiornare il quadro dell’assistenza sanitaria agli anziani italiani.
“Attualmente si stima una di una platea di 3,8 milioni di persone over-65 non autosufficienti – un milione in più rispetto alle rilevazioni Istat precedenti, giacché sono state conteggiate finalmente anche le persone con demenze”, commenta a Fortune Italia Elisabetta Notarnicola, Associate Professor of Practice, divisione Government, Health e Not for Profit presso Sda Bocconi e coordinatrice del Rapporto.

Un dato, questo, che manda in picchiata il tasso di copertura dei bisogni della non autosufficienza da parte del welfare pubblico: 7,2% per servizi residenziali socio-sanitari, 0,7% per il diurno, 22% per l’assistenza domiciliare integrata (Adi).

“Ciò  che emerge dai dati Istat è anche la scarsissima presa in carico del problema da parte della sanità pubblica, che eroga servizi ad hoc molto deboli. Solo 15 ore all’anno per ogni persona non autosufficiente”.

E i giovani raggiunti dall’indagine della Bocconi ne sono consapevoli, soprattutto per l’esperienza vissuta direttamente nell’assistenza a familiari bisognosi di un’assistenza che si è dovuta trovare soprattutto ricorrendo a strutture private. Tanto che il 54% di chi ha un’età intorno ai 37 anni già pensa al proprio futuro e alla non autosufficienza. “Si tratta di un dato che scardina l’immagine che avevamo finora dei giovani connazionali. E questo deve far riflettere sull’opportunità di orientare politiche sanitarie di presa in carico precoce”.

Se la situazione dell’assistenza pubblica alla non autosufficienza è grave, non va molto meglio per le aziende che private che erogano questi servizi. I gestori privati si trovano in forte difficoltà “a causa della carenza di personale e conseguente scarsità di know-how interno. A mancare è un quarto degli infermieri, quasi un medico su cinque e il 13% degli operatori socio sanitari. Il tutto determinato da politiche di lunga data che hanno portato a una forte riduzione della formazione di queste figure professionali da parte dell’università”.

Un quadro piuttosto critico, a cui però va contrapposta una serie di iniziative volta a invertire la rotta. Anche perché, lo sappiamo, l’età media della popolazione va aumentando e con essa anche la percentuale di persone soggette a patologie croniche, anche invalidanti. Già, ma che fare?

“Naturalmente bisogna agire sul sistema universitario per formare infermieri, medici e altre professionalità complementari per l’assistenza socio-sanitaria degli anziani non autosufficienti. Ma dal momento in cui si deciderà di farlo a quando le nuove persone formate inizieranno a entrare nel mondo del lavoro passeranno minimo quattro anni”, commenta Notarnicola. Nel frattempo non possiamo certo stare a guardare l’acqua che passa sotto al ponte. Propone L’esperta della Bocconi: “Si può agire su diverse leve. Ad esempio modificando gli standard dell’assistenza. Che non vuol dire abbassarli, ma rimodulare i servizi modificando la loro organizzazione. Per esempio riallocando alcune mansioni infermieristiche ad altri professionisti con ruoli diversi”.

Ciò che mette il luce la ricerca dell’ateneo milanese è anche l’impasse dichiarata dai provider privati dell’assistenza agli anziani rispetto alla possibilità di investire e innovare. Penalizzati dal calo di fatturato conseguente alla pandemia (anche se in parte si inizia a registrare una ripresa) e dal fatto che l’investimento privato senza un contraltare adeguato di politiche sanitarie pubbliche sortisce effetti modesti.
Chiosa Notarnicola: “È importante evidenziare che, a fronte di una richiesta di assistenza socio-sanitaria alla non autosufficienza proveniente da ben 3,8 milioni di persone, l’attenzione e l’investimento pubblico sono praticamente assenti. Nonostante il Pnrr. Gli investimenti devono essere anche di natura istituzionale. Le aziende private, anche volendo, se sole non possono fare la differenza”.

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