Natalità in crisi, quanto incidono gli squilibri fra le generazioni?

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Sembra ormai inarrestabile la crisi della natalità in Italia. Gli aggiornamenti che arrivano periodicamente dall’Istat segnalano ormai, di anno in anno, nuovi record negativi. E per i giovani italiani mettere su famiglia sembra essere diventata una ‘mission impossible’. Ma se l’Italia non è un Paese di giovani, cosa ci dicono i dati, e come peserà il crollo delle nascite sulla tenuta del sistema previdenziale? Ne abbiamo parlato con Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica.

“Il nostro Paese si trova, dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso, con un tasso di fecondità sotto 1,5, valore molto più basso rispetto alla soglia che consente uno sviluppo equilibrato fra le generazioni . All’interno dell’Ue ci sono Paesi che non sono mai scesi sotto i 2 figli per donna, come la Francia, e altri che si sono trovati con dinamiche simili a quelle dell’Italia, ma poi sono riusciti a invertire la rotta”, spiega Rosina. E’ il caso, ad esempio, della Germania.

La situazione italiana è ormai oltre il livello di guardia. “Nel 2020 le nascite sono scese a 404mila, ovvero 550mila in meno rispetto agli attuali cinquantenni”. Squilibri “tra i peggiori al mondo nei rapporti tra generazioni”. Così non stupisce che l’Italia sia “fra i Paesi sviluppati che più rischiano di trovarsi a metà di questo secolo con un rapporto 1:1 tra lavoratori e pensionati. Uno scenario assolutamente da evitare, perché – sottolinea l’esperto – comprometterebbe il sistema di welfare”.

Ci siamo accorti del problema troppo tardi? “Forse non è troppo tardi, ma dobbiamo agire in modo urgente. Più si diluisce nel tempo l’impatto degli interventi a favore della fecondità, e più debole sarà l’impulso sulle dinamiche demografiche”. Il primo obiettivo sono i trentenni. “Chi ha 30 anni oggi – raccomanda Rosina – deve poter trovare subito incoraggiamento a realizzare scelte che finora ha rinviato, prima che si trasformino in una rinuncia definitiva. Nel frattempo è necessario mettere i venticinquenni in condizione di non rinviare troppo le loro scelte”. L’idea è quella di fare in modo che le giovani coppie possano pensare a “un figlio in più, anziché uno in meno. Solo in questo modo il tasso di fecondità potrà salire”. Insomma, occorre agire subito e “imporci di diventare, a livello europeo, l’esempio da seguire nelle politiche pro natalità dal 2022 in poi”.

Ma in che modo? Occorre combinare al meglio “l’uso delle risorse del Next generation Eu, l’attuazione delle misure del Family Act e un clima del Paese incoraggiante” nei confronti della natalità.

Un approccio alla francese, con tasse più leggere per le famiglie che superano un certo numero di figli, sarebbe praticabile? Secondo Rosina la carenza e l’inefficacia dei sostegni economici e degli interventi a favore delle famiglie veicolano implicitamente “il messaggio culturale che avere un figlio sia considerato un costo individuale e non un bene sul quale collettivamente investire. Una nuova stagione di politiche familiari deve partire dal valore collettivo da riconoscimento alla scelta di avere un figlio”.

La natalità, conclude Rosina, è divenuto “l‘indicatore più sensibile nei Paesi più avanzati rispetto alle condizioni oggettive del presente e alle prospettive future. Nei contesti caratterizzati da fiducia e aspettative positive, aumenta la presenza di giovani e si rafforza il loro contributo allo sviluppo sostenibile”.

E’ possibile approfondire il tema sulla landing dedicata al progetto: “La Natalità è futuro”

Ascolta “Alessandro Rosina: Natalità in crisi, quanto incidono gli squilibri fra le generazioni?” su Spreaker.

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