Accesso all’innovazione oncologica a ostacoli, l’analisi di Rasi

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L’accesso all’innovazione oncologica rischia di complicarsi ulteriormente nell’Italia alle prese con la pandemia. E questo a causa dei ritardi accumulati nel percorso di adeguamento al nuovo Regolamento europeo sulla ricerca clinica. “Non solo è mancata da sempre una strategia nazionale per attrarre gli investimenti in ricerca, ma adesso si è aggiunto un ostacolo enorme, che respinge di fatto quelli che arrivavano spontaneamente”, spiega a Fortune Italia Guido Rasi, consulente del commissario straordinario per l’emergenza Covid Figliuolo, già direttore esecutivo dell’Ema, docente di Microbiologia all’Università Tor Vergata di Roma.

“La ricerca clinica – riflette Rasi – è il primo elemento chiave dell’innovazione: permette il passaggio dalla scoperta alla realizzazione, dal laboratorio al letto del malato”. E oggi può cambiare radicalmente le prospettive per i malati di tumore. “Non essere agganciati alla ricerca clinica internazionale significa perdere il treno dei grandi studi multicentrici, dai quali finché non risolviamo i problemi che abbiamo saremo tagliati fuori”. Questo è un grosso vulnus, sottolinea Rasi, che scoraggia di fatto gli investimenti in Italia. E rischia di penalizzare un settore che vanta centri e ‘cervelli’ eccellenti.

Tutto questo mentre dalla ricerca stanno arrivato terapie personalizzate contro i tumori, Car-T, terapie geniche: c’è un problema di sostenibilità, e l’Agenzia italiana del farmaco è pronta a questa stagione di ‘super terapie’ mirate? “No, non è pronta né l’Agenzia italiana né il regolatorio europeo. Il sistema regolatorio è composto sostanzialmente da due pilastri – ricorda l’ex Dg Ema – uno è il rapporto beneficio-rischio, per l’autorizzazione dell’immissione in commercio, l’altro l’assegnazione del valore del farmaco, che ne determina l’accessibilità. Il gap tra l’autorizzazione europea dell’Ema e l’accesso concreto diventa sempre maggiore, perché le terapie sono sempre più onerose, a potenziale efficacia crescente ma per target di popolazione sempre più piccoli”. Per Rasi è evidente che la modalità di acquisto e accesso al farmaco deve essere totalmente ripensata.

Ma in che modo? Il regolatorio italiano, che “è più un’agenzia di Hta (Health technology assessment) che di autorizzazione, deve affrontare un rapido ripensamento. Soprattutto nella parte pharma. Non si può più tenere il pharma staccato dal resto: adesso che arriveranno terapie integrate, la digital health, è anacronistico pensare il prezzo del farmaco staccato rispetto alla gestione della patologia. Il punto è invece pensare a una gestione completa del malato”.

Va ripensato, insomma, tutto il sistema regolatorio. “L’Aifa deve essere rifondata, per poter controllare i device e la veterinaria. Tre aspetti, insieme ai farmaci, governati da un’agenzia sola sotto il concetto guida di One Health. Inoltre non è possibile che la gestione dei trial clinici sia in capo a chi valuta i risultati. L’Aifa non è stata mai riformata dal 2004, siamo nel 2022 e il mondo è cambiato”, sottolinea Rasi, che però precisa: “La mia non è una critica alla gestione, ma alla struttura”. La sanità, la ricerca e i farmaci sono drammaticamente cambiati in questi anni, e occorre adeguarsi.

“Quanto all’oncologia, ribadisco che oggi va vista la malattia nel suo complesso: si dovranno autorizzare e valorizzare le procedure terapeutiche, più che il farmaco”. E’ il caso dei test genetici agganciati ai farmaci molecolari. “Bisogna avere un approccio olistico” ma anche più moderno, per assicurare nel concreto un accesso all’innovazione che sia equo e sostenibile.

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