Natalità in crisi, le conseguenze di una scelta culturale

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Una scelta sempre più complessa da affrontare, specie in Italia. Secondo gli ultimi dati Istat nel 2021 ci sono state in Italia meno di 400.000 nascite, un’ulteriore diminuzione rispetto all’anno precedente. Stiamo vivendo un momento critico nel nostro Paese, in cui è ormai a serio rischio il processo di ricambio generazionale. Ma la denatalità è anche conseguenza di una scelta culturale? Ne parliamo con Enrico Pozzi, professore di Psicologia sociale e Ceo di Eikon Strategic Consulting.

“Parlare di scelta culturale a proposito di natalità significa aver capito un aspetto fondamentale del problema: i parametri oggettivi della natalità, economici, sociali, di welfare, costituiscono solo uno dei fattori e non necessariamente il più importante di un fenomeno che presenta sfaccettature complesse”. La parola cultura, invece, “riassume gli aspetti immateriali collegati alla scelta di genitorialità”.

“Un primo livello ha a che fare con lo schema corporeo: ognuno di noi – spiega Pozzi – si porta dentro schemi impliciti di come è e come dovrebbe essere il corpo. Questi modelli variano nel tempo” e “l’attuale schema corporeo prevalente in larga parte della popolazione italiana non prevede spazi fisico per la maternità e la natalità“. Uno schema che “elimina i segni esterni di contenitore di un’altra vita che caratterizzano la forma femminile” non può favorire la natalità.

Un altro aspetto fondamentale “ha a che fare con la modifica dei modelli di genere. La natalità è stata a lungo una verifica dell’identità maschile e femminile“, che però adesso è diventata “qualcosa di più fluido”, proprio come le relazioni. Allora cosa accade alla funzione della natalità come verifica di un’identità? “Semplicemente viene meno o si indebolisce con forza”, aggiunge Pozzi. Avere figli non rappresenta più una verifica, nemmeno per la coppia.

C’è poi la percezione dei tempi di vita. “Ogni cultura si porta una visione di come si organizzano i cicli della vita. Se questo tempo della vita cambia, si modifica anche il modo in cui la biologia della natalità si inserisce nel tempo: è possibile che la natalità sia meno cercata, se il tempo della vita sembra non consentirlo a vari livelli”.

C’è poi un problema a livello Paese: coesione sociale e fiducia, secondo Pozzi, sono altri due elementi fondamentali per favorire la natalità. Elementi che, evidentemente, scarseggiano in Italia.

La maternità (e la paternità) sembrano quasi aver perso appeal fra i giovani, come mai? “I giovani sono la verità nascosta dei propri genitori: nei giovani si condensano oltre ai problemi oggettivi e materiali, gli aspetti culturali più marcati della resistenza alla natalità e genitorialità degli adulti”. Ma attenzione: “Non appena ci si pone nelle condizioni giuste dell’ascolto, si scopre che il tema della natalità e della genitorialità è ben presente fra i giovani”. Pozzi invita dunque a scoprire le parole specifiche dei giovani, il loro linguaggio, a mettersi davvero in ascolto, per “riaprire un dialogo sui livelli profondi di questo tema”.

La scelta di un figlio è qualcosa di completamente razionale o entrano in gioco altri fattori? “Ma quando mai lo è?”, si chiede l’esperto. “La scelta di fare un figlio è produrre vita, ha a che fare con il futuro, il desiderio e il bisogno“. La dimensione intensamente affettiva ed emotiva dell’essere genitori “emerge nelle vicende di genitorialità tardive: nei toni drammatici, carichi di bisogno, si sente con forza la natura non razionale di ciò che la maternità e la genitoralità implicano”. Dunque “il discorso sulla natalità, per essere efficace, deve essere anche del desiderio e del bisogno”.

Non basta il mero calcolo – più fondi, incentivi, servizi – ma occorre scavare in profondità per incidere in qualche modo sulla crisi della natalità in Italia. “Torniamo al desiderio”, conclude l’esperto.

Ascolta “Enrico Pozzi: La denatalità è anche la conseguenza di una scelta culturale” su Spreaker.

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