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Antibiotici, la pandemia ‘frena’ l’uso in Italia (con un’eccezione)

Antibiotici
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L’abuso di antibiotici è una delle cause della diffusione di superbug resistenti a questi farmaci. Ebbene, nel 2020 il consumo complessivo, pubblico e privato, di antibiotici in Italia è stato pari a 17,7 dosi ogni mille abitanti, in forte riduzione rispetto al 2019 (-18,2%). Una brusca frenata dovuta anche al fatto che, con la diffusione di Covid-19, si sono drammaticamente ridotte le altre infezioni respiratorie.

Nel 2020 circa 3 italiani su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici, e in media ogni paziente è stato in trattamento per circa 14 giorni nel corso dell’anno, con una prevalenza d’uso che aumenta all’avanzare dell’età, superando il 50% nella popolazione ultra-ottantacinquenne. Si conferma un maggior consumo di antibiotici nelle fasce estreme, ma curiosamente in questi casi si registra anche un più frequente utilizzo per gli uomini, mentre la maggior prevalenza d’uso nelle donne si riscontra nelle fasce di età intermedie.

A ‘fotografare’ il consumo di questi farmaci è il Rapporto Nazionale 2020 sull’uso degli antibiotici in Italia presentato oggi dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Un report di oltre 300 pagine che evidenzia come, con 692,1 milioni di euro, gli antibiotici hanno rappresentato il 3% della spesa e l’1,2% dei consumi totali a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn).

“Questo lavoro – ha affermato il direttore generale Nicola Magrini – illustra una situazione italiana, europea e globale fortemente preoccupante: gli antibiotici sono usati troppo e spesso in modo inappropriato, anche se con segnali di miglioramento. L’Italia si configura come un Paese ad alto tasso di resistenze, con una situazione regionale a macchia di leopardo. Parsimonia è la parola chiave per un miglioramento dell’uso degli antibiotici in tutti i campi, nel rispetto della logica One Health”.

“L’ottimizzazione della terapia antibiotica appare quanto mai urgente, viste le numerose stime che pongono l’Italia tra i Paesi europei dove il rischio individuale di ricevere una prescrizione inappropriata di antibiotico, di acquisire una infezione ospedaliera o una infezione causata da batteri resistenti è più alto – ha dichiarato Evelina Tacconelli, coordinatrice del gruppo Opera di Aifa- È essenziale promuovere interventi a vari livelli volti all’ottimizzazione delle prescrizioni, al corretto utilizzo delle nuove molecole di antibiotici in ospedale e all’omogeneizzazione degli indirizzi terapeutici in comunità. È necessario un cambiamento che includa un ripensamento dell’atto prescrittivo basato sulle evidenze e su un approccio consapevole, per proteggere le nuove molecole e garantire la riduzione del rischio di ulteriore diffusione di batteri resistenti agli antibiotici”.

L’eccezione in pandemia – Ebbene, se il consumo di antibiotici si è ridotto, questo discorso non vale per l’azitromicina: è l’unico principio attivo, insieme alla fosfomicina, per cui i consumi complessivi del 2020 (1,3 dosi per 1000 abitanti die) non sono diminuiti rispetto al 2019.

L’analisi dell’acquisto privato mostra un incremento dei consumi del 33,3% rispetto al 2019, cosa che lo pone al terzo posto per consumo con 0,4 DDD/1000 ab die: l’acquisto privato di questo antibiotico costituisce un quarto del consumo totale. E’ bene sottolineare che più volte l’Aifa ha segnalato come per l’azitromicina, “farmaco che in base alle evidenze disponibili non dovrebbe essere utilizzato per il trattamento di pazienti Covid-19 se non in caso di co-infezioni batteriche”, si sono registrati aumenti consistenti sia a livello territoriale che ospedaliero. Per quanto riguarda gli acquisti diretti, nel primo semestre 2020, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sono stati registrati notevoli incrementi, più elevati al Nord (+192,0%) e al Sud (+145,6%) rispetto al Centro (+69,1%), a cui si aggiungono quelli registrati nel secondo semestre 2020. Al contrario, nel primo semestre 2021 i consumi hanno registrato una tendenza in riduzione rispetto allo stesso periodo del 2020.

Antibiotici in ospedale (e non) – Gli antibiotici acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche, riferibili prevalentemente all’uso ospedaliero, pur rappresentando solo il 10% del consumo totale a carico del Ssn, devono essere considerati con attenzione visto il ruolo centrale dell’ospedale nel controllo dell’antibiotico-resistenza. Gli acquisti privati di antibiotici rimborsabili dal Ssn (classe A) sono stati pari a 3,9 dosi ogni 1000 abitanti, che corrispondono al 24% del consumo territoriale totale di antibiotici, e a una spesa pro capite di 2,05 euro.
La spesa complessiva, che include sia la quota rimborsata dal Ssn (85% del totale) sia gli acquisti privati, è stata pari a 814 milioni di euro corrispondenti a 13,65 euro pro capite registrando un notevole calo rispetto al 2019 (-5,1%).

L’assistenza convenzionata – Circa il 90% del consumo di antibiotici a carico del Ssn (12,1 dosi 1000 abitanti die) viene erogato in regime di assistenza convenzionata dopo prescrizioni del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta. Le penicilline in associazione agli inibitori delle beta-lattamasi si confermano la classe a maggior consumo, seguita dai macrolidi e dai fluorochinoloni.

Cosa accade sul territorio – Il rapporto conferma l’ampia variabilità regionale dei consumi di antibiotici: 9,3  dosi per 1000 abitanti die al Nord, 12,6 al Centro e 15,7 al Sud. In tutte le regioni, sottolinea Aifa, si osserva una significativa riduzione rispetto al 2019.

Consumi e resistenza – L’Esac (European Surveillance of Antimicrobial Consumption) ha predisposto alcuni indicatori per favorire la corretta interpretazione dei dati di consumo, per evidenziare gli aspetti che possono incidere sulla diffusione delle resistenze antibiotiche.
L’indicatore che misura il rapporto tra il consumo di antibiotici ad ampio spettro rispetto al consumo di antibiotici a spettro ristretto risulta tanto più elevato quanto più i consumi di molecole ad ampio spettro, che hanno maggiore impatto sulle resistenze antibiotiche, superano quelli delle molecole a spettro ristretto.

La media europea del rapporto è pari a 3,5 e l’Italia è uno dei Paesi con il valore più elevato, indicando una marcata predilezione nel nostro Paese per le molecole ad ampio spettro (un problema, perché evidentemente questo è un sintomo di un approccio non mirato,  che rischia di alimentare l’emergere di super-bug, ndr). Questo indicatore mostra inoltre per l’Italia un peggioramento nel 2020 rispetto al 2019, passando dall’11 del 2019 al 12,3 del 2020.
L’indicatore che analizza la percentuale di consumo di associazione di penicilline mostra come in Italia vi sia un ampio ricorso a queste molecole, che in diverse circostanze cliniche potrebbero essere sostituite da penicilline a spettro più ristretto (es. amoxicillina semplice).
La percentuale di consumo di cefalosporine e fluorochinoloni ha registrato una riduzione in tutte le regioni; in alcuni contesti geografici (regioni del Sud) persiste però un frequente utilizzo di questi antibiotici di seconda scelta, con importanti margini di miglioramento ancora possibili.

L’effetto Covid – Nel periodo 2020-2021, in conseguenza delle misure per la pandemia da Covid-19 che hanno avuto un impatto anche sugli altri agenti infettivi, si registra una variazione stagionale dei consumi di antibiotici sistemici, meno marcati rispetto agli anni precedenti. Poi c’è il caso dell’azitromicina.

I bambini – Nel 2020 il 26,2% (nel 2019 era il 40,9%) della popolazione italiana fino ai 13 anni di età ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici, con una media di 2 confezioni per ogni bambino trattato, in forte diminuzione rispetto al 2019.
Il maggior livello di esposizione si rileva nella fascia compresa tra 2 e 5 anni, in cui circa un bambino su tre riceve almeno una prescrizione di antibiotici. Il tasso di prescrizione è superiore nei maschi rispetto alle femmine soprattutto nella fascia 0-1 anno. L’indicatore che confronta il ricorso alle molecole ad ampio spettro rispetto a quello delle molecole a spettro ristretto ha registrato un peggioramento dal 2019 al 2020 passando da 4 a 4,5. Questo “può essere l’effetto di una variazione della tipologia/gravità delle infezioni gestite in ambulatorio e, in parte, di un eccessivo uso di molecole di seconda scelta”.

Gli anziani – Nel 2020 quasi il 45% della popolazione ultrasessantacinquenne ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici, con il Sud che registra i valori maggiori (56,5%), seguito dal Centro (46,8%) e dal Nord (33,4%). Nel 2020 sono state osservate importanti riduzioni rispetto al 2019.

In ospedale – Nel 2020, a livello nazionale, il consumo ospedaliero di antibiotici è stato pari a 92,1 dosi per 100 giornate di degenza, con un aumento del 19,3% rispetto al 2019.
Le categorie di antibiotici più utilizzate a livello ospedaliero sono, in ordine decrescente, le cefalosporine, i carbapenemi, i monobattami, le penicilline e i macrolidi.
La molecola a maggior consumo è il ceftriaxone, cefalosporina di terza generazione, mentre l’azitromicina è l’antibiotico che ha subito l’aumento più elevato dei consumi nel 2020.

Antibiotici e territorio – Dall’analisi dei dati della medicina generale sulle prescrizioni ambulatoriali di antibiotici per specifiche patologie infettive è emersa una prevalenza di uso inappropriato che supera il 25% per quasi tutte le condizioni cliniche studiate (influenza, raffreddore comune, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite non complicata). Nel 2020 le stime osservate sono tutte in aumento rispetto all’anno precedente, in modo più evidente per la cistite non complicata nelle donne, a eccezione delle infezioni delle prime vie respiratorie, per le quali si osserva una riduzione della prevalenza di uso inappropriato.

Il confronto con l’Europa – I consumi di antibiotici in Italia sono stati confrontati con quelli degli altri Paesi europei e del Regno Unito. Ebbene, nel 2020 il consumo territoriale si è mantenuto superiore alla media europea, nonostante la marcata contrazione rispetto all’anno precedente. Il consumo di antibiotici in ambito ospedaliero è stato di poco superiore alla media europea e in leggero aumento rispetto al 2019.

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