Dopo Anonymous, Nestlé si ritira dalla Russia

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Oggi Nestlé ha annunciato che sospenderà la vendita di diversi marchi in Russia, tra cui KitKat e Nesquik: “Sospenderemo la stragrande maggioranza del nostro volume prebellico in Russia anche in settori come il caffè e il cibo per cani”, ha affermato un portavoce di Nestlé.

“Supportiamo il popolo ucraino e i nostri 5.800 dipendenti nel Paese”, ha aggiunto, assicurando che l’azienda continuerà a pagare i propri impiegati russi. Solo alcuni giorni fa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha criticato il gruppo per la scelta di non ritirarsi dalla Russia.

Il collettivo di hacker Anonymous sostiene che la scelta di Nestlé sia la risposta alla messa in rete, da parte sua, di almeno 10 gigabyte di dati del gigante alimentare svizzero. Si tratta di informazioni private come password, e-mail e dettagli sui clienti dell’azienda. Anonymous avrebbe deciso di punire la multinazionale svizzera per la sua scelta di rimanere in Russia, rivendicando la propria presa di posizione su Twitter. Gli hacker avevano dato una sorta di ultimatum di 48 ore a diverse grandi imprese, tra cui Nestlé, a chiudere tutte le attività rimaste attive in Russia.

 

Nestlé, dal canto suo, ha negato l’hackeraggio dei suoi dati. Secondo un’analisi condotta dall’azienda, i dati interessati erano già stati pubblicati il ​​mese scorso accidentalmente dalla società stessa. “Anonymous si riferisce a un caso del febbraio di quest’anno – ha riportato un portavoce della multinazionale a Fortune – quando alcuni dati di test randomizzati e disponibili quasi esclusivamente a clienti aziendali, sono stati resi accessibili involontariamente online per un breve periodo di tempo”. “Abbiamo rapidamente indagato – ha aggiunto – e non è stata ritenuta necessaria alcuna ulteriore azione”.

“Non otteniamo profitti”, aveva dichiarato un portavoce di Nestlé lunedì 21 marzo. “Stiamo facendo tutto il possibile in Ucraina e nei paesi limitrofi per aiutare ad alleviare questa catastrofe umanitaria. Siamo ancora una delle poche aziende alimentari attive in Ucraina e talvolta riusciamo persino a distribuire cibo a Kharkiv” aveva aggiunto, provando a difendere la posizione dell’azienda.

Nelle ultime settimane la multinazionale aveva ricevuto numerose critiche da parte di consumatori, attivisti ed esponenti politici per non essersi ritirata completamente dal mercato russo dopo l’invasione dell’Ucraina. Un elenco stilato da Jeffrey Sonnenfeld della Yale University delle società che ancora operano in Russia ha addirittura classificato Nestlé come secondo peggior gruppo.

L’azienda svizzera, a sua discolpa, ha sostenuto più volte che la sua decisone era determinata dalla volontà di fornire alla Russia cibi essenziali, come alimenti per l’infanzia e supporti per la nutrizione medica/ospedaliera. Nestlé, in precedenza, aveva detto inoltre di aver messo fine a tutte le esportazioni e le importazioni non essenziali dalla Russia, di aver sospeso pubblicità e investimenti, assicurando anche di non star più facendo profitti nel Paese.

Quello di Anonymous è solo l’ultimo di una serie di cyber-attacchi ai danni di aziende e istituzioni pubbliche russe, dopo la decisione di Putin di dichiarare guerra all’Ucraina. Il collettivo aveva inizialmente colpito le compagnie di gas e petrolio russe e anche il sito del ministero della Difesa russo, bloccando i rispettivi siti web. Era seguita la diffusione di oltre 40mila documenti appartenenti all’Istituto di Sicurezza Nucleare di Mosca, e la pubblicazione dati personali di 120mila soldati russi presenti in Ucraina. Gli hacker, inoltre, in queste settimane hanno diffuso video di sostegno al popolo ucraino e inviato messaggi privati ai cittadini russi, aggirando la censura del governo, per informarli sull’andamento della guerra in Ucraina, raccontando loro una versione diversa da quella ufficiale fornita dal Cremlino.

L’hacking è diventato una minaccia familiare per le aziende, con Cybersecurity Ventures che ha stimato, a novembre 2020, che i costi economici globali della criminalità informatica aumenteranno da $3 trilioni nel 2015 a $10,5 trilioni all’anno entro il 2025.

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