Lontano dalla città, anche dopo Covid: la riscossa delle aree interne

agricoltura aree interne

Il lavoro da remoto e la Strategia nazionale aree interne stanno ripopolando anche zone lontane dai grandi centri urbani. La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2022.

Tornare a vivere nel paesello, senza rinunciare al lavoro e guadagnandoci in maggiore autonomia e qualità della vita. Una scelta controcorrente? Decisamente no, nell’Italia post Covid che sta lentamente ritornando alla normalità dopo i lockdown e le separazioni forzate del 2020 e del 2021. Quell’Italia che è riuscita a trarre qualcosa di buono anche dalla terribile esperienza della pandemia realizzando, per esempio, come la presenza obbligatoria in ufficio sia legata a un modello di lavoro oramai superato, e come l’innovazione possa nascere persino nei territori più piccoli e periferici, a prescindere dalla geografia, nella misura in cui ci sono i prerequisiti infrastrutturali: connessioni veloci, spazi condivisi di lavoro e strade.

Sulla scia del rinnovato interesse per le aree interne – stimolato dal fenomeno della ‘restanza’ o ‘tornanza’ (la scelta di chi, pur essendo giovane e altamente qualificato, non abbandona le proprie radici oppure vi ritorna) e dagli abbondanti finanziamenti in arrivo con la Strategia nazionale per le aree interne (Snai) e con il Pnrr – stanno venendo alla luce, lontano dai grandi centri urbani, numerosi progetti innovativi che interessano tanto le pmi, quanto le associazioni e le istituzioni locali.

Se i protagonisti di quest’inversione di tendenza sono – per così dire – ai margini, il fenomeno nel suo complesso è tutt’altro che marginale. In Italia, infatti, i Comuni con meno di cinquemila abitanti sono 5.522 (poco meno del 70% del totale) e la gran parte di questi si trova nelle ‘aree interne’ cioè, secondo la definizione dell’agenzia del governo per la Coesione territoriale, in “territori caratterizzati dalla significativa distanza dai centri di offerta di servizi essenziali”.

È una realtà che coinvolge circa il 60% del territorio nazionale, il 52% dei Comuni e quasi 13 milioni di persone (il 22% degli italiani) che vi risiedono. Una buona fetta del Paese, che potrebbe contribuire ad arginare lo storico problema dello spopolamento dei piccoli centri, soprattutto in collina e in montagna, e fare la propria parte per riaccendere i motori dell’economia valorizzando le risorse che il territorio, anche grazie alle nuove tecnologie, può ora offrire.

La ‘restanza’ , tuttavia, non è stata considerata un fenomeno degno di attenzione prima della ricerca ‘Giovani dentro’ di Riabitare l’Italia, l’associazione che raccoglie numerosi economisti ed esperti in prima linea nella battaglia per rivitalizzare le aree interne. Dalle pagine della ricerca – pubblicata nel 2021 e svolta in piena pandemia, coinvolgendo 3.300 cittadini tra i 18 e i 39 anni, residenti o provenienti dalle aree interne – risulta in tutta evidenza che una gran maggioranza di questi (il 67% degli under 40) non vuole o non intende trasferirsi in città. Del resto, il 70% degli intervistati è riuscito lo stesso a completare il ciclo di studi fuori dai grandi centri urbani e il 65% ha addirittura trovato lavoro in zona.

“Tra le principali motivazioni a restare – si legge – ci sono il forte legame con la comunità (65%), il beneficio di contatti sociali più gratificanti (68%) e di una migliore qualità della vita (79%). Sabrina Lucatelli, direttrice di Riabitare l’Italia ed economista dello sviluppo, parla di uno studio straordinariamente approfondito, “una fotografia inedita e molto realistica della situazione”. “Sono realtà che sfuggono alle statistiche nazionali mentre dati come il Pil pro-capite o l’ammontare d’imposte pagate offrono solo stime parziali, che ovviamente registrano ancora un gap negativo rispetto ai grandi centri”. Secondo Lucatelli “in queste aree, oggi veri laboratori d’innovazione, vengono prodotti beni cruciali per la crescita sostenibile”. E le casistiche di nuovi business che crescono e piccole imprese che nascono, lavorando con le risorse del territorio sono “tanto numerose quanto interessanti, anche se è impossibile registrare il valore di queste iniziative in termini di crescita aggiuntiva”.

La possibilità di un rilancio, specie per le aree interne del Sud, diventa più concreta grazie al ruolo cruciale della connettività e agli incentivi messi a disposizione. Questi ultimi, secondo Filippo Tantillo, ricercatore territorialista dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), riflettono peraltro la nuova consapevolezza di come le aree interne meritino attenzione perché possono diventare una risorsa di crescita per il Paese se valorizzeremo le loro eccellenze: i prodotti agricoli, il manifatturiero e l’artigianato industriale. “La narrazione del piccolo borgo che attrae esclusivamente turismo – prosegue Tantillo – è superata dai fatti perché Covid-19 ha mostrato come queste aree siano economicamente e socialmente più efficienti, in grado di attivare economie circolari e sostenibili”.

Peraltro, sui territori sta per arrivare una pioggia di soldi: 825 mln provenienti dal Pnrr, 300 mln del Fondo complementare per le infrastrutture stradali oltre ai circa 300 mln di fondi già stanziati dallo Stato per progetti di sviluppo locale. Finanziamenti che da qui al 2027 potrebbero superare il miliardo di euro, se queste realtà dimostreranno buone capacità di progettazione e di spesa.

In uno scenario promettente su cui pesa tuttavia il ritardo accumulato dal Piano nazionale per la banda ultra larga – solo 80 Comuni di oltre 6mila che si trovano in aree a fallimento di mercato sono stati completamente cablati – non è stato difficile individuare esperienze e iniziative imprenditoriali decisamente lungimiranti.

In Sicilia dal 2020 South Working promuove efficacemente il lavoro agile in particolare nelle aree interne del Sud Italia. Un progetto sostenuto da moltissimi italiani che, dopo aver lavorato all’estero per anni, hanno preso coscienza, complice la pandemia, di poter tornare nel Paese d’origine, senza dover rinunciare a carriera e ambizioni. In paesini remoti, dove la parola ‘digitalizzazione’ era quasi sconosciuta, oggi si parla di ‘coworking’, ‘cohousing’ e ‘coliving’.

E a farlo sono giovani interessati a riconquistare relazioni sociali e qualità di vita, adoperandosi per rendere più attraenti luoghi da cui storicamente si fuggiva. In soli due anni South Working è riuscito a stabilire protocolli d’intesa con numerosi altri piccoli Comuni, reti di Comuni ed enti d’Italia, dove sono stati creati nuovi servizi e micro aziende innovative. E dove il capitale umano di ritorno sta dando energia alla crescita. Con i borghi che sempre più frequentemente si reinventano come ‘smart village’, posti ideali per riavviare la propria attività da remoto, anche la campagna ha dimostrato un’insospettabile capacità di resilienza e ripresa.

Lo conferma il successo registrato da Orogel – società cooperativa agricola con base nei comuni del cesenate, di Policoro (Matera) e Ficarolo (Rovigo) – che coltiva, trasforma e commercializza oltre 135mila tonnellate l’anno di prodotto agricolo italiano, completamente sostenibile. Marchi come Verdurì, Minestrone leggerezza e Crea tu sono diventati punti fermi sulle nostre tavole durante i lockdown che, notoriamente, hanno spinto il consumo di surgelati. Con un fatturato di 261 mln di euro nel 2020 destinato a crescere almeno di un altro 5% nel 2021, il presidente della società cooperativa, Bruno Pieraccini, ha dovuto fare i conti col problema dell’abbandono delle campagne e del ricambio generazionale. “L’aumento dello smart working e il fenomeno delle dimissioni volontarie da impieghi d’ufficio – sottolinea – hanno giocato anche a nostro favore”.

Orogel sta cogliendo quest’opportunità per attrarre in campagna giovani qualificati e farne imprenditori agricoli. Quattro anni fa ha lanciato il primo progetto, in collaborazione con la facoltà di agraria, per aiutare le nuove leve agricole e metterle in condizione di avviare la propria attività finanziandola completamente fino al raggiungimento dell’autonomia. “È un progetto strategico per l’agricoltura, chi vi aderisce è stipendiato dalla cooperativa in media per quattro anni e beneficia dell’esperienza e della visione di una filiera integrata che è redditizia e sostenibile”. Per le attività d’incubazione, Orogel ha sinora stanziato circa 3 mln di euro: l’investimento per avviare un’attività agricola è valutato sui 200/300mila euro e dieci giovani a oggi hanno aderito al progetto facendo nascere piccole imprese che domani ingrosseranno le fila della cooperativa (1675 soci in tutto).

Queste sono iniziative pilota che crescono con il desiderio di un pianeta più sostenibile e di nuove politiche, green e altamente tecnologiche. Il riflesso di evoluzioni partorite in un momento storico che – si spera – saranno pienamente integrate nella nuova normalità post-Covid.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di marzo 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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