Il caso Cardarelli e i pronto soccorso italiani

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“Quella dell’ospedale Cardarelli di Napoli purtroppo non è una situazione isolata”. Commenta così a Fortune Italia il past president della Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) Salvatore Manca i recenti avvenimenti registrati al Pronto soccorso del nosocomio partenopeo.

File e file di barelle con pazienti in attesa di essere visitati o trasferiti ad altri reparti in base al proprio caso clinico che destano serie preoccupazioni per quanto riguarda la capacità di risposta della struttura sanitaria alle richieste di salute dei cittadini.

Ma come si è arrivati a questa situazione? La direzione dell’ospedale punta il dito sul fatto che altre strutture ospedaliere sono ancora in fase di riconversione dei reparti da Covid a non-Covid. Con il conseguente indirizzamento delle emergenze-urgenze al Cardarelli. Che negli scorsi giorni ha registrato fino a 170 accessi al Pronto soccorso in poche ore. Situazione che perdura anche oggi: come riporta l’Ansa a metà giornata gli arrivi erano già 180. Il fatto però è più grave di quanto sembri. Giacchè non si tratta di un caso estemporaneo, ma di uno stato di congestione che dura da settimane. Tanto da aver costretto ben 25 medici del Ps del Cardarelli a minacciare le dimissioni.

“Da Nord a Sud c’è una forte carenza di organico, che porta a un sovraccarico di lavoro per i medici del pronto soccorso e manca una vera programmazione sanitaria. A ciò si aggiunge il burnout post-Covid dei medici, che si sono dedicati anima e corpo alla gestione dell’emergenza sanitaria per due anni. E il gioco è fatto. Non reggiamo più”, afferma Manca. Che aggiunge: “Mentre prima ci chiamavano eroi, ora sono riprese le aggressioni da parte dei pazienti e dei familiari per le attese a cui sono costretti nei pronto soccorso”.

Il fatto però non dipende dalla poca lena del personale medico, ma dalla carenza di organico derivante dalla scarsa lungimiranza degli anni passati. Anni nei quali “le nostre segnalazioni di scarsità di risorse umane soprattutto in ottica futura non venne ascoltata dalla classe politica. Che è responsabile della situazione odierna. La situazione è persino paradossale. Oggi non viene più riconosciuta la professionalità di chi lavora in pronto soccorso. Le aziende optano per far subentrare le cooperative di servizi. Cosa che fa abbassare il livello di qualità dell’assistenza sanitaria”, afferma l’esperto Simeu.

Che si chiede: “Ma pensiamo che chiunque possa fare il medico?”. La risposta più significativa a questo interrogativo arriva ragionando in ottica di sistema: “Un medico di pronto soccorso  competente porta a un risparmio per il Ssn, perché riesce a contenere i ricoveri e i relativi costi sanitari”.

Cosa fare allora? Risponde Manca: “Invece che ricorrere alle cooperative, si permetta agli specializzandi di andare a fare formazione in corsia già dal terzo anno. Riusciremmo ad avere un numero di professionisti dell’emergenza maggiore e in tempi più brevi rispetto a quanto si può ottenere con le scuole di specializzazione”. Il problema è capire se la classe politica è interessata a questo argomento. “Pare di no”, commenta il medico tra l’avvilito e l’arrabbiato, “abbiamo invitato i politici al nostro congresso nazionale. Nessuno ha risposto”.

Eppure si tratta di elementi utili a quanti stanno disegnando a tavolino la riorganizzazione della sanità del futuro. Più territoriale e meno ospedaliera.

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