Covid e forme asintomatiche, il segreto svelato a Napoli

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Uno dei rebus che, fin dall’inizio della pandemia da Covid-19 ha arrovellato i ricercatori di tutto il mondo è legato alle differenze nella gravità dell’infezione da Sars-Cov-2. Perché alcune persone, magari persino anziane e fragili, superano l’incontro con il virus senza sintomi mentre altre, magari giovani e in buona salute, subiscono pesanti contraccolpi, tanto da finire in terapia intensiva e rischiare la vita?

A fornire una risposta, dopo più di due anni di pandemia, è uno studio italiano pubblicato su Genetics in Medicine, che potrebbe rivoluzionare, in futuro, anche le terapie per Covid-19. Il segreto, ci spiegano gli studiosi del Ceinge-Biotecnologie avanzate di Napoli, è celato (ancora una volta) nei geni. Sono infatti delle mutazioni genetiche rare a indebolire alcuni geni coinvolti nei processi di attivazione del sistema immunitario e a predisporre i fortunati portatori a forme asintomatiche di Covid-19.

Una scoperta frutto dell’analisi dei campioni di Dna di circa 800 individui che erano stati contagiati dal virus Sars-CoV-2, ma che non avevano sviluppato sintomi gravi pur avendo fattori di rischio come appunto l’età avanzata.

Non solo, i geni nel mirino sono quelli legati alla risposta infiammatoria, e dunque il gruppo diretto da Mario Capasso e Achille Iolascon, professori di genetica medica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e ricercatori del Ceinge, ha aggiunto un nuovo tassello al complesso puzzle della predisposizione genetica nei confronti di Covid.

Ormai sono arrivati a 164.573 i decessi ufficiali per Covid-19 in Italia, e se fattori di rischio come età, sesso e malattie pregresse hanno un ruolo rilevante nel determinare la gravità della malattia Covid-19, resta ancora molto da capire sulle caratteristiche dei soggetti ‘immuni’ e degli asintomatici.

Vito Alessandro Lasorsa, Barbara Eleni Rosato, Umberto Esposito, Giuseppe D’Alterio, Roberta Russo, Achille Iolascon, Immacolata Andolfo, Mario Capasso, Ferdinando Bonfiglio

Ma come si sono mossi i ricercatori? “Sono stati analizzati tutti i geni finora conosciuti utilizzando sequenziatori di ultima generazione e ottenendo così un enorme mole di dati genetici”, ha spiegato Mario Capasso. “Strategie di analisi bioinformatiche avanzate, messe a punto grazie al contributo del giovane ricercatore Giuseppe D’Alterio e del team di esperti bioinformatici del Ceinge, hanno poi permesso di identificare mutazioni patogenetiche rare che erano significativamente più frequenti nei soggetti infetti e asintomatici e non in una grande casistica di circa 57.000 soggetti sani”.

La ricerca si è avvalsa dunque di macchinari hi-tech e della collaborazione con Pellegrino Cerino (Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno) e Massimo Zollo (coordinatore della Task-Force Covid del Ceinge, professore di genetica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II).

Ebbene, secondo il team tre geni MASP1, COLEC10 e COLEC11, appartenenti alla famiglia delle proteine della lectina e noti avere un ruolo di difesa contro le infezioni, sono risultati mutati, e le mutazioni genetiche ne attenuavano la funzione. Un po’ come se avessero una sorta di ‘rallentatore’.

“Oggi è ampiamente dimostrato che l’eccessiva risposta immunitaria all’infezione da Sars-CoV-2 e la successiva iper-attivazione dei processi pro-infiammatori e pro-coagulativi sono la causa principale del danno agli organi come polmoni, cuore, rene”, ha spiegato  Capasso. “La nostra ricerca dimostra che le mutazioni del genoma umano che attenuano questa eccessiva reazione immunitaria possono predisporre a un’infezione senza sintomi gravi”.

Che riflessi potrà avere questo studio per la ricerca? “Abbiamo reso disponibili, in un database online, tutti i dati genetici ottenuti che altri studiosi potranno liberamente consultare per sviluppare nuove ricerche – ha annunciato Achille Iolascon – Possiamo utilizzare queste mutazioni per individuare soggetti che sono predisposti a sviluppare forme meno gravi o asintomatiche della malattia Covid-19″.

Non solo. “I livelli sierici dei tre geni individuati – ha concluso Iolascon – potrebbero essere utilizzati come marcatori prognostici della malattia grave. Infine, oggi sappiamo qualcosa in più sulle basi biologiche di questa malattia e, dunque, abbiamo qualcosa su cui lavorare per sviluppare nuovi trattamenti farmacologici”. Terapie in grado di mimare l’azione dei geni e di fornire una sorta di ‘asintomaticità’ artificiale. Siamo ancora agli inizi, ma la strada è segnata.

 

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