Medici e infermieri, il caso ‘supplenza’ in Lombardia

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Il dado è tratto. Pochi giorni fa è stato siglato l’accordo formale per la collaborazione sinergica, di fatto già in essere, tra medici e infermieri. Ci si potrebbe domandare “ma era proprio necessario far sedere intorno a un tavolo Fnomceo e Fnopi?”. Risposta affermativa. Soprattutto all’indomani delle indiscrezioni secondo cui in alcune Asst lombarde sarebbe in sperimentazione un progetto volto a far supplire i medici di medicina generale dagli infermieri.

Detta così, la cosa ha dell’assurdo se non dell’incredibile. E infatti ha destato non poche critiche. Soprattutto da parte del sindacato dei medici di medicina generale, che ha commentato: “Parole irrispettose nei confronti dei medici e del loro lavoro, parole irrispettose nei confronti degli infermieri, come se questi ultimi fossero dei ‘piccoli medici’ e non avessero una professionalità distinta e autonoma”.

Subito pronta la replica di Palazzo Lombardia, che per tramite della direzione generale al Welfare ha precisato che la “supplenza”, come ormai è stata definita, sarà solo ‘organizzativa’ e non ‘professionale’”. Che ha anche tenuto a precisare che “le figure professionali mediche e infermieristiche hanno con tutta evidenza competenze diverse, non sovrapponibili né interscambiabili, ma sicuramente sinergiche e complementari”. Certamente utili per far fronte a una grave situazione in cui versa l’assistenza sanitaria territoriale all’ombra della Rosa Camuna – a dire la verità ce ne si era accorti bene già all’inizio della pandemia – che vede una grave carenza di medici di medicina generale, tale da rendere impossibile assegnare il medico di famiglia ai cittadini.

La visione del Welfare lombardo è quella di una collaborazione di equipe che abbiano l’obiettivo di rispondere il più possibile ai bisogni di salute dei cittadini. Collaborazione che si realizza nelle Case di Comunità. Che, ricordiamo, saranno una sorta di laborioso alveare in cui tanti professionisti con competenze e ruolo differenti potranno farsi carico soprattutto delle cronicità con un approccio non solo sanitario, ma anche sociale. Anche se non tutti sono d’accordo sulla loro reale efficacia nel rispondere alla domanda di salute del territorio. Soprattutto quando si tratta di screening, oncologia e cronicità. Perché parrebbe esserci una discrasia tra numero di prestazioni necessarie e capacità effettiva di erogazione da parte di queste strutture. Ma tant’è.

Intanto, in Lombardia si è già insediato il Gruppo di lavoro con medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e infermieri voluto dalla vicepresidente e assessore al Welfare Letizia Moratti per affrontare congiuntamente le tematiche relative alle Cure Primarie ed ai modelli assistenziali territoriali.

Ma lo scivolone di comunicazione che ha parlato di “supplenza” ha rappresentato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sia dei medici che degli infermieri. Che hanno quindi deciso di mettere nero su bianco, a prova di chiunque voglia dire il contrario, che la collaborazione tra questi professionisti esiste ed è leale. Nell’interesse dei cittadini e dei pazienti.

Ha commentato così questo accordo il presidente Fnomceo Filippo Anelli: “È necessario il rispetto delle competenze e lavorare insieme in modo reciproco. Insieme (agli infermieri, ndg) abbiamo ragionato sulle carenze delle nostre professioni e sulla loro dignità. Guardiamo al futuro del Ssn per progettare un contesto in cui la politica deve ascoltare i professionisti (della salute)”.

“La sensazione scaturita dall’incontro con le professioni mediche è positiva – ha detto la presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli – è una sinergia importante, che è sempre stata nell’aria e che ora è stata formalizzata. Ora siamo anche più forti nei confronti ci chi da fuori vuole continuare a portare avanti modelli comportamentali e relazionali che non ci appartengono più”.

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