Diabete, un iceberg che fa i conti con pesanti disparità

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Prevenzione, diagnosi e accesso alle cure sono inversamente proporzionali alle condizioni socioeconomiche. Un dato di fatto che purtroppo vale anche per malattie croniche fortemente invalidanti come il diabete di tipo 2, che spesso viaggiano in tandem con altre patologie come quelle cardiocrebrovascolari.

A confermarlo è la quindicesima edizione dell’Italian Diebetes Barometer Report realizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation, in collaborazione con Istat e con il contributo di Coresearch e Bhave. Commenta a Fortune Italia i risultati dell’indagine il direttore di Coresearch Antonio Nicolucci.

Nicolucci, cosa significa oggi diabete?
Il diabete rappresenta un problema epidemiologico rilevante. Il numero di persone con diabete sta aumentando rapidamente, tanto che prima dell’avvento di Covid-19 si parlava di “pandemia diabete”. Ciò è vero in tutto il mondo, anche in Italia. Nel nostro Paese ci sono 3,5 milioni di persone che sanno di avere il diabete; a queste si stima possa affiancarsene un altro milione che ha questa malattia metabolica ma non ne è consapevole.

Ma come è possibile essere malati e non saperlo?
Il diabete può rimanere sotto traccia per molto tempo. Molte volte le persone scoprono di essere malate quando si manifestano le complicanze di questa malattia come i problemi alla retina o quelle di natura cardiocerebrovascolari.

Veniamo alla vostra ricerca: mette in evidenza profonde disparità territoriali in termini prevalenza.
Esatto. In media ha il diabete il 5,9% degli italiani. Ma questa prevalenza cambia di regione in regione. Tocchiamo punte dell’8% in Basilicata, mentre i valori più bassi si registrano nella Provincia autonoma di Bolzano (3,4%).

Dobbiamo parlare del consueto divario Nord-Sud?
Purtroppo è così. Al Nord la prevalenza media è al di sotto del 5%, mentre al Sud siamo al 7%.

Come si spiegano questi numeri?
La diversa incidenza è conseguenza di stili di vita differenti. Molto è determinato dal sovrappeso, un fattore di rischio per lo sviluppo del diabete di tipo 2, che ha un gradiente via via peggiore spostandosi dal Nord al Sud. I dati ci dicono che è sovrappeso oppure obeso il 40% dei cittadini del Nord Italia, mentre nelle regioni meridionali questa condizione riguarda una persona su due. Ragionando a ritroso, alla base del sovrappeso ci sono fattori culturali legati all’alimentazione e alla sedentarietà. In Sicilia non fa alcuna attività fisica bel il 60% delle persone, mentre a Bolzano solo il 12%. Il problema del sovrappeso, e quindi del diabete, ha radici di natura socioeconomica: aumenta al diminuire del censo. Che come è noto è maggiore al Nord e minore al Sud. Minori disponibilità economiche infatti determinano un minore accesso agli alimenti salutari (più costosi) e allo sport (spesso a pagamento).

La ricerca mette in luce anche la rilevanza della telemedicina nel favorire la continuità terapeutica delle persone con diabete. In che senso?
Questo fatto si è reso evidente soprattutto durante la pandemia. Nel 2020 le visite specialistiche in presenza dei pazienti con diabete sono diminuite molto. Su 500mila pazienti, circa 130mila hanno effettuato visite virtuali. Si badi bene, non si trattava di telemedicina vera e propria. Non quella che prevede lo scambio di dati e documenti clinici tra paziente e dottore. Ma di semplici telefonate e messaggi con lo specialista o con il medico di medicina generale. Abbiamo rilevato che ciò è stato sufficiente per mantenere queste persone in terapia.

Visite a distanza promosse quindi per le persone con diabete?
Direi di sì. Nei termini di cui abbiamo parlato. Perché naturalmente non si possono sostituire le visite in presenza nel medio-lungo termine. Soprattutto per la valutazione delle eventuali complicanze di questa malattia. Ricorrere alla telemedicina può rappresentare un valido complemento alle visite in presenza. Soprattutto considerando che in media un diabetico è visitato dallo specialista una o due volte l’anno. Tra i vantaggi di poter dialogare “in remoto” con il proprio medico ve n’è anche uno di natura clinica. Si riesce a contrastare l’inerzia terapeutica. Un maggior numero di contatti infatti può far emergere precocemente se la terapia che sta seguendo la persona con diabete è ancora valida o se, diversamente, è necessario rivederla.

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