Allarme plasma, Marcucci (Kedrion): ‘L’Italia può essere autosufficiente’

Marcucci Kedrion
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Mentre l’ombra di Omicron si allunga su un’estate meno spensierata di quanto avremmo voluto per gli effetti della crisi ucraina, un altro settore letteralmente ‘vitale’ è in allarme: quello dei medicinali plasmaderivati. La raccolta del plasma – materia prima di vari farmaci salvavita per il trattamento di patologie gravi come l’emofilia, le neuropatie e le immunodeficienze primarie – continua ad arrancare. Dopo il biennio nero registrato nei centri di raccolta di tutto il mondo sulla scia della pandemia, anche il 2022 – l’anno che avrebbe dovuto “pareggiare i conti” con il plasma – continua a deludere le attese.

A riaccendere i riflettori sulle criticità di un settore considerato globalmente strategico al pari delle fonti energetiche, dei metalli rari e dell’acqua, è Paolo Marcucci, Executive Chairman di Kedrion Biopharma, azienda leader in Italia nella raccolta, produzione e distribuzione di plasmaderivati e quinto player mondiale in questo specifico segmento di mercato.

“In un momento caratterizzato da carenza di plasma, inflazione alle stelle e crisi internazionale, il fabbisogno di cure e terapie plasmaderivate sta aumentando in tutto il mondo”, spiega Marcucci a Fortune Italia senza nascondere la sua preoccupazione. Chi come lui ha il polso del biofarmaceutico, un mercato competitivo e ad alto tasso d’innovazione, sa bene che il sogno di poter aumentare quest’anno il plasma raccolto per la trasformazione industriale molto difficilmente sarà coronato.

“La quantità di farmaci che possiamo produrre e vendere, in Italia e nei Paesi più bisognosi, dipende dal plasma disponibile, ma le quantità continuano ad essere insufficienti mentre la competizione per accaparrarselo è agguerrita. Questo incide sui prezzi dei plasmaderivati che in Europa sono per forza aumentati, ma incide anche sulle dosi che possiamo inviare a paesi più poveri che non hanno il know-how per produrre MPD ne’ la possibilità di pagare di più per ottenerli”.

Stando a dati del Centro Nazionale Sangue (Cns) nei primi mesi di quest’anno la raccolta è calata mediamente del 10% rispetto il 2021. La flessione è stata più accentuata ad aprile (-13%), quando le principali associazioni di donatori e pazienti – tra queste Fedemo e Aip – hanno lanciato i primi appelli a intervenire per contenere la drammatica carenza di plasma, sangue e prodotti derivati, in particolare immunoglobuline.

Negli Stati Uniti – Paese che fornisce, da solo, circa il 70% del plasma per il mercato globale degli emoderivati – i ritmi di raccolta sono tornati a livelli pre pandemici ma la ripresa dei contagi da Coronavirus impone comunque la cautela.

In Italia, invece, sottolinea Marcucci, “Omicron e le sue sottovarianti hanno decisamente rallentato la raccolta e si teme che il recupero di maggio e giugno si fermi già in estate, con le vacanze e le temperature eccezionalmente elevate, per questo urge intervenire tempestivamente per tutelare l’accesso dei pazienti alle cure”. Il nostro Paese, infatti, benché dotato di un buon sistema di raccolta, basato sui principi di eticità, gratuità e responsabilità delle donazioni, dipende per circa il 30% del suo fabbisogno di plasmaderivati dall’estero, in particolare dagli Usa dove la raccolta di plasma è retribuita e dove non a caso si trovano quasi tutti i centri di raccolta dei colossi biofarmaceutici (sono una trentina quelli della galassia Kedrion, operativi in diversi stati americani, ndr).

Il problema della disponibilità di plasma, insomma, dovrebbe essere tanto un tema di salute pubblica quanto un tema di competitività del sistema nel suo complesso perché in gioco, lascia capire Marcucci, c’è la capacità di continuare ad essere un paese di destinazione per i plasmaderivati e resistere su un mercato globale, oggi dominato da pochissimi “big”, che in futuro sarà sempre più strategico.

L’Italia è già autosufficiente per quello che riguarda il sangue ma oggi, incalza il presidente, dovrebbe cercare urgentemente l’autosufficienza anche sul fronte del plasma per la lavorazione industriale e la produzione di plasmaderivati: “Basterebbe poco – aggiunge – per centrare questo ambizioso obiettivo”. Il Paese può infatti contare su 1,3 milioni di donatori, ognuno dei quali dona mediamente 1,7 volte l’anno. “Per raggiungere l’autosufficienza bisognerebbe passare da 1,7 a 2,5 donazioni annue per donatore”, il che significa meno di una donazione in più l’anno, possibilmente eseguita con plasmaferesi, metodo che permette di estrarre dal donatore solo il plasma.

Sarebbe insomma possibile colmare quel 30% di plasma mancante a livello nazionale senza rischiare dover sprecare sangue intero e questa condizione ottimale permetterebbe all’Italia di soddisfare il suo fabbisogno consentendo anche ai paesi più poveri di accedere a terapie oggi costosissime.

Eppure le cose non stanno proprio così. Come puntualizzato da Vincenzo De Angelis, direttore del Cns, sono dati come il deficit tra la domanda di immunoglobuline e il volume di plasma raccolto per la trasformazione industriale a dare la misura di una dipendenza sempre più preoccupante del vecchio Continente dal mercato Usa. Dipendenza che nel caso del plasma nel 2020 ha addirittura raggiunto il 40%. E non si intravede alcuna inversione di rotta.

Senza toccare i principi cardine di un sistema di raccolta che, come nel caso italiano, è più performante di altri oltre che eticamente irreprensibile, in tema di donazioni di plasma, secondo Marcucci, “bisognerebbe cambiare approccio, con l’aiuto delle associazioni, e cercare di tutelare il più possibile i pazienti, la cui vita dipende dalle terapie, oltre che i donatori”. Ben vengano allora le azioni volte a sensibilizzare i cittadini, favorire gli investimenti in ricerca e l’ottimizzazione del prodotto e facilitare l’accesso alle cure. Perché dal plasma – risorsa limitata e non sintetizzabile in laboratorio – si producono farmaci che nel caso di molte patologie non sono sostituibili, mentre il consumo di plasmaderivati, in tutto il mondo, continua a crescere stabilmente trascinato da fattori come l’invecchiamento della popolazione, lo sviluppo di nuove indicazioni terapeutiche e le aumentate diagnosi di malattie trattabili già dalla prima infanzia con emoderivati.

Kedrion – con una sede principale storicamente legata alla famiglia Marcucci e alla provincia di Lucca, dove si trovano gli stabilimenti produttivi e i centri per la ricerca e lo sviluppo dei farmaci, un altro impianto in provincia di Napoli, una fortissima presenza negli Usa e stabilimenti acquisiti in Canada e in Ungheria – è riuscita finora a fornire medicinali plasmaderivati in un centinaio di Paesi mantenendo un’elevata qualità del prodotto nonostante il generale aumento dei costi della materia prima. “E intende continuare a farlo, restando saldamente in Italia”, assicura Paolo Marcucci, senza tuttavia svelare i dettagli della prossima cessione della quota di maggioranza della famiglia ai fondi britannici Permira, operazione di private equity che garantirà, a detta degli analisti e dell’azionariato di Kedrion, l’ulteriore crescita internazionale del gruppo.

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