Gender gap in sanità, il lavoro femminile penalizzato

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Le donne che lavorano nella sanità guadagnano fino al 24% in meno dei colleghi uomini, a parità di mansione. Il dato, triste, arriva dal report “The gender pay gap in the health and care sector: a global analysis in the time of Covid-19” pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in collaborazione con International Labour Organization (Ilo).

La persistente penalizzazione della retribuzione del lavoro femminile è un fattore ampiamente presente in tutti i settori. Le donne, non solo devono fare maggiore fatica per entrare nel mondo del lavoro, ma spesso devono anche dimostrare di valere quanto gli uomini con maggiore sforzo e impegno.

Ciò vale anche quando si parla di sanità e di tutti i ruoli che oggi possono essere ricoperti anche dalle donne. Che possono scegliere di essere infermiere, assistenti socio-sanitari, chirurghi finanche dirigenti di struttura. E che, nonostante questo, vengono pagate in media il 20% in meno dei loro pari. Benché, evidenzia la ricerca, a livello mondiale la sanità pubblica e privata si regga proprio sulle donne, che ne rappresentano in media il 67% della forza lavoro, con picchi del 75% nei Paesi ad alto reddito e minimi del 63,8% in quelli a basso reddito.

È già avvilente che nel 2022 si debba parlare ancora di gender gap nel mondo del lavoro. Lo è ancora di più il fatto che si debba parlare di genere. Sintomo che, a dispetto di una società che si definisce “fluida”, si fa ancora un distinguo tra chi può “portare i pantaloni” e chi no. Tra chi può emanciparsi e chi no. Tra coloro che possono trarre dignità dal proprio lavoro e coloro che ancora non possono farlo.

Ancor più umiliante, dover riportare la notizia che le maggiori differenze di stipendio tra uomini e donne si registrano ai danni delle lavoratrici “in età riproduttiva”, citando il rapporto di Oms. E dover scrivere che invece di valorizzare e premiare le nostre mogli, madri, sorelle e figlie per il loro fondamentale ruolo di donare nuova linfa vitale alla società, quest’ultima le punisce con un cedolino di un quinto inferiore a quello che avrebbero ricevuto se fossero state maschi.

Che fare allora per contrastare questa situazione che ormai pare essere una tendenza che si cristallizza anno dopo anno e che nemmeno la pandemi, che ha messo in evidenza l’importanza strategica e pratica delle professioni sanitarie, è riuscita a scalfire?

Diverse le proposte di Oms e Ilo. Dalla riduzione della segregazione di genere, sia orizzontale che verticale, che oggi vede molte più donne in posizioni medio-basse mentre la maggior parte di quelle elevate è occupata da uomini, alla messa in atto di reali pari opportunità di mobilità verso l’alto anche per le donne della sanità. Passando per la standardizzazione delle condizioni di lavoro di uomini e donne a livello contrattuale, istituendo al contempo la trasparenza retributiva e gli strumenti legali per contrastare la disparità salariale.

Senza dimenticare la necessità che i Paesi si sforzino per cambiare norme culturali di genere e stereotipi che dovrebbero appartenere al passato.

Recita una frase celebre attribuita al padre dell’evoluzione Charles Darwin: “Il lavoro nobilita l’uomo”. Facciamo in modo che ciò sia vero a prescindere dal genere del lavoratore. In questo modo potremo evolvere come società.

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