ospedale sud fortune italia
Aboca banner articolo

Una testata storica come il Mattino notava, qualche giorno dopo l’apertura della crisi di governo, l’assenza di qualunque riferimento al Sud nei discorsi che hanno accompagnato la fine della legislatura. Il solito lamento per il Sud, si dirà. Anche se in verità di questo genere di lamenti, ormai da tempo, se ne sentono ben pochi.

Comunque la si pensi, di Sud varrebbe la pena di tornare a parlare, a maggior ragione nel momento in cui i partiti mettono a punto i loro programmi per la campagna elettorale. Intanto per auspicare, una volta di più, che l’interruzione della legislatura non incida negativamente sulle scadenze del Pnrr che, come è noto, prevede che il 40% delle risorse destinate al territorio vadano alle regioni del Mezzogiorno. E magari per dare seguito alle riflessioni avviate dalla Ministra per il Sud e la Coesione territoriale, Mara Carfagna, in occasione del Forum Verso Sud, per riproporre al paese la centralità del Mezzogiorno.

Varrebbe la pena parlare di Sud anche riguardo alla sanità. Anche in questo caso per le preoccupazioni riguardanti il Pnrr e, in particolare, la Missione 6, dedicata alla Salute. E poi per il Pon Sanità, il primo Piano operativo nazionale finanziato dalla Commissione EU e interamente dedicato alle regioni del Mezzogiorno. Il Ministro della Salute Roberto Speranza lo rivendica con legittimo orgoglio come un successo. In primo luogo per le ulteriori risorse a disposizione del SSN, 625 milioni di euro, ma soprattutto per le aree di intervento alle quali sono destinate, screening oncologici, salute mentale, consultori e salute di genere, contrasto della povertà sanitaria. I numeri sono, infatti, inclementi e dovrebbero destare qualche preoccupazione. Al netto degli effetti della emergenza pandemica, Sud e Isole nel corso dell’ultimo decennio si sono collocati stabilmente al di sotto della media nazionale per adesione agli screening principali, mammografico, cervicale e colorettale.

Ma le preoccupazioni per le diseguaglianze in ambito sanitario non si fermano, ovviamente, qui. Dalla speranza di vita alla nascita, alla mortalità, compresa quella evitabile, dalle malattie non trasmissibili alle multicronicità, solo per citare alcuni esempi, le regioni del Mezzogiorno figurano costantemente al di sotto di quelle del Centro e del Nord del Paese, con divari spesso rilevanti. Per una malattia come il diabete, per esempio, l’indice di prevalenza di tre regioni come Sicilia, Molise e Calabria oscilla tra il 7,3 e l’8% (dati 2019, pre-pandemia). Il dato medio nazionale è del 5,8%, la P.A. di Bolzano si attesta al 3,4%, il Veneto al 4,9%. Se guardiamo agli stessi dati per la popolazione al di sopra dei 65 anni, la Calabria sale al 25,3%, contro il 17,2% della media nazionale. E se esaminiamo la mortalità per diabete, Campania, Sicilia e Calabria sono in vetta alla classifica.

Nonostante gli innegabili progressi realizzati dalla gran parte delle regioni, tanto per capacità gestionale che per qualità dei servizi messi a disposizione dei cittadini, il divario tra regioni e territori, dati alla mano, non sembra essere stato intaccato.

Le diseguaglianze di salute dovrebbero essere, quindi, in cima ai nostri pensieri e alle preoccupazioni dei decisori. Il tema si intreccia, peraltro, con il dibattito sui determinanti di salute, che ciclicamente esce dal recinto di ricercatori e accademici e torna ad interessare la politica. E con le riflessioni sulla distribuzione delle risorse e la possibilità di incidere, attraverso di esse, sulla qualità dei servizi sanitari regionali. Il presidente della Regione Campania, De Luca, ha contestato l’ultimo riparto delle risorse del Fondo sanitario nazionale, chiedendo di includere tra i criteri anche gli indici di deprivazione sociale, che tengono conto, tra l’altro, dello svantaggio di un territorio per istruzione, lavoro, abitazione e condizioni familiari. Il metodo per il riparto adottato attualmente risale al 2011, è basato prevalentemente sulla composizione anagrafica della popolazione e valorizza la presenza di popolazione anziana, penalizzando regioni più giovani come la Campania.

Una simulazione effettuata dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, per verificare la possibilità di modificare il metodo di riparto, riconosce in ipotesi alla Campania da 357 a 425 milioni di euro in più per anno, basando il metodo rispettivamente sul criterio della popolazione secca o sul recepimento della deprivazione materiale. Tanto nel primo che nel secondo caso, tra le regioni meridionali che vedrebbero aumentare le risorse assegnate ci sarebbero, oltre alla Campania, anche Sicilia, Puglia e Calabria.

Che si possa incidere positivamente sui divari territoriali attraverso una ripartizione diversa delle risorse, in maniera da renderla più coerente con i bisogni di salute della popolazione, è tutto da dimostrare. Sentiamo già levarsi le grida di dolore di quanti lamentano l’incapacità storica di alcune regioni del Sud di spendere i soldi pubblici assegnati loro, o di spenderli bene. Ma ci sembra alquanto difficile continuare a negare in radice la possibilità di una opzione di questo genere. Resta comunque da capire come si possa ancora giustificare che regioni come la Campania e la Calabria, caratterizzate da condizioni di salute peggiori di altre, possano continuare a ricevere minori finanziamenti. Forse di questo dovremmo discutere in questi giorni, più che di autonomie differenziate.

 

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.