Vale ancora la pena andare all’Università? L’analisi dello scienziato in Usa

Antonio Giordano
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Sapere o tecnica, istruzione o competenze? Un tempo non molto lontano l’università era lo sbocco naturale per molti ragazzi, dopo la maturità. Oggi però qualcosa è cambiato, e l’idea di investire anni per completare la propria formazione in un ateneo sembra aver perso smalto.

Sarà per via delle storie personali di molti ‘ex ragazzi’ della Silicon Valley divenuti imprenditori di successo a livello mondiale, sarà per le ‘scorciatoie’ offerte dai social agli aspiranti creator o influencer, fatto sta che mentre molti over 40 nel post pandemia hanno optato per una seconda laurea, i giovanissimi sembrano avere non pochi dubbi.

Ma vale ancora la pena andare all’università? Fortune Italia lo ha chiesto, in vista del nuovo anno accademico, allo scienziato italiano in Usa Antonio Giordano, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia e professore di Anatomia ed Istologia Patologica all’Università di Siena (www.drantoniogiordano.comwww.shro.org).

“La preparazione culturale e, quindi anche quella universitaria, negli anni,è stata sostituita tragicamente dal concetto di ‘competenza’, ritenuto erroneamente più fruibile e spendibile sul mercato del lavoro. In realtà, questo passaggio ha aumentato il divario tra la preparazione universitaria e l’inserimento nel mondo del lavoro, poiché la riduzione dell’insegnamento a ‘fabbrica di competenze’ piuttosto che ‘officina di idee’ ha fatto sì che la competenza, di per sé statica, una volta acquisita negli anni universitari, fosse già obsoleta, rispetto all’aggiornamento continuo e all’impatto della globalizzazione, che rende tutto più competitivo”, afferma Giordano.

Ecco allora perché l’università non è, in realtà, affatto obsoleta. “Il mercato del lavoro si aggiorna più velocemente di un sistema operativo e solo il sapere ‘inutile’ può salvarci da una cattiva interpretazione del futuro, non funzionale alle azioni semplici, ma capace di ispirarne di ‘grandi’: il sapere assoluto, la conoscenza acquisita tra i banchi di scuola, si rinnova, compie il suo lavoro che è quello contribuire a sviluppare l’essere umano, fornirgli qualche strumento per progredire, abbattere ostacoli e sostenerne la creatività”, insiste lo scienziato.

Dunque, per Giordano non ci sono dubbi, ma anche l’università ha bisogno di ‘ripensare’ alla sua strategia. “Si può affermare che il sapere assoluto vince sulla competenza specialistica, per il suo carattere multiforme e in continua evoluzione, rispetto alla staticità di una competenza acquisita in anni senza aver allenato il pensiero critico e la possibilità di modificarla, migliorarla, per adattarla al nuovo che avanza. Quindi, passare da una fabbrica di competenze a una officina di idee è la soluzione ultima che ha la scuola e, quindi, l’università per interpretare la realtà e dominarla”.

Il “vulnus che si è creato tra mondo universitario e mondo del lavoro sta proprio nell’equivoco che una competenza specialistica possa sostituire la nascita di una coscienza critica, alla base della libertà dell’individuo. Chiunque affermi che frequentare una università sia inutile, chiunque ritenga di dover dirottare i giovani lontano da una qualsiasi forma di istruzione, spingendoli a trovare altrove una collocazione, ne vuole fare degli individui manipolabili”, ammonisce Giordano.

Lo scienziato resta convinto che “la scuola, e l’istruzione in generale, siano l’unica possibilità che abbiamo di costruire un futuro: rispondere all’unica domanda del mercato necessaria, le idee nuove. Idee nuove che nascono solo con alla base il sapere, non la tecnica. La tecnica viene dopo, bisogna allenare i giovani a pensare, poi a fare. Per far questo frequentare la scuola, l’università, è indispensabile. Chiunque dica il contrario, ne vuole fare dei servi”, conclude.

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