Sanità in Italia e Usa, il nodo gordiano tra pubblico e privato

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Seppur prevalentemente gestito da aziende private, il sistema sanitario americano guarda sempre di più al modello europeo, puntando sull’accessibilità universale ai servizi, anche per i meno abbienti, in assenza di copertura assicurativa, così come indicato dalla Riforma Obama del 2010.

Al contrario, i sistemi sanitari del Vecchio Continente compiono passi che si allontanano dal “modello solidale” e pubblico, finendo di fatto per attribuire servizi e gestione efficace dell’offerta sanitaria alle aziende private, più o meno consapevolmente e colpevolmente.

Una scelta motivata dalle liste di attesa insostenibili sia per visite che interventi chirurgici, anche in campo oncologico. Ritardi tali da risultare fatali per il paziente, che deve anche pagare il prezzo delle lungaggini burocratiche e delle carenze gestionali, derivanti da piani incongruenti di organizzazione della sanità sia a livello governativo che a livello delle singole organizzazioni sanitarie (aziende ospedaliere ed aziende sanitarie locali), dove peraltro la nomina dei direttori generali (cosi come le scelte che costoro compiono) subisce forti influenze politiche.

Va poi denunciato l’esodo di cittadini verso le strutture private, talvolta favorito da manager o da medici di strutture pubbliche universitarie.

Difficile discernere con chiarezza le responsabilità di questo esodo, ma i convenzionamenti facili con il Servizio sanitario nazionale, nonchè l’inefficienza del servizio pubblico rappresentano il terreno fertile che portano a questa “privatizzazione strisciante” della nostra sanità.

Ecco, quindi, in Italia come negli Usa il nodo gordiano del Sistema sanitario e della stessa ricerca biomedica: come permettere una sana convivenza di due sistemi che basano la loro esistenza su presupposti antitetici come il diritto universale alla salute e il profitto?

Il primo grande passo operato dagli Stati Uniti verso un sistema di cura più equo ed inclusivo, meno legato allo status economico dei cittadini e che rappresenta un cambio di paradigma in tutto il sistema sanitario statunitense, è stato senz’altro l’Affordable Care Act del 2010, ora ripreso e portato a compimento da Joe Biden.

Ben lontana dall’essere un modello di sanità pubblica, la riforma promossa da Obama ha profondamente rivoluzionato un modello che rimane essenzialmente privatistico, allargando, tuttavia, la platea dei beneficiari dei programmi sanitari gestiti su base federale, estendendo l’accesso anche al ceto medio-basso, alle famiglie meno abbienti e a coloro che hanno più di 65 anni.

L’aumento degli screening periodici e le campagne di prevenzione delle patologie più frequenti e gravi hanno portato al centro della scena la prevenzione e la tutela dei pazienti che versano in una condizione di fragilità economica.

Il Servizio sanitario italiano dà attuazione all’art.32 della Costituzione che sancisce il diritto alla salute di tutti gli individui. Un sistema universalistico, tipico dello Stato Sociale, che garantisce assistenza sanitaria finanziato dallo Stato attraverso una fiscalità generale ed entrate dirette attraverso i ticket sanitari, quote con cui il cittadino contribuisce alle spese e alle prestazioni a pagamento.

L’applicazione di questi principi costituzionali è ancora fortemente contrastata da una difficile realtà, prigioniera del divario di gestione delle strutture sanitarie tra Nord e Sud Italia.

Sebbene alcuni (difficile dire se la maggioranza) centri di eccellenza, nonostante ostacoli di ordine amministrativo e carenze di vario genere, riescano ancora a distinguersi nel desolante panorama nazionale, la difficoltà a reperire fondi da investire per potenziare la sanità pubblica e la ricerca, (quest’ultima ancora del tutto trascurata nella lista degli obiettivi politici da raggiungere a breve e medio termine) e la dispersione delle risorse umane, finiscono col danneggiare il nostro Sistema sanitario e i pazienti stessi.

Si assiste cosi all‘esodo verso Paesi esteri dei giovani medici e ricercatori, e a quello dei pazienti verso le strutture private spesso considerate “migliori” sulla base della loro capacità di fare “merchandising” più che di offrire servizi sanitari superiori.

Va, invece, perseguito un sistema che consenta uno sviluppo parallelo e, solo quando necessario, integrato, di due sistemi equivalenti per offerta qualitativa sanitaria.

Il pubblico deve mantenere la centralità della sua missione sociale e di formazione mentre il privato dovrebbe consentire un’opzione possibile per chi desideri usufruire della stessa offerta pubblica in un diverso contesto, o di servizi non essenziali che il pubblico ha scelto di non offrire.

*Antonio Giordano, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia e professore di Anatomia ed Istologia Patologica all’Università di Siena (www.drantoniogiordano.comwww.shro.org). 

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