Crisi dell’energia e guerra, le sfide del pharma per Nicoletta Luppi (Msd)

Nicoletta Luppi Msd
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La guerra in Ucraina e la crisi dell’energia stanno avendo un impatto anche su un settore che si è rivelato fondamentale in pandemia: la farmaceutica. Un comparto che in Europa fa i conti anche con un dollaro particolarmente forte, in una fase in cui Covid-19 sta correndo di nuovo, non solo in Italia.

Ma se fino a ieri il pharma e la sanità – almeno a parole – erano stati riconosciuti come strategici per il rilancio del nostro Paese, al momento questi due settori sembrano un po’ usciti dai radar. Un errore? E cosa accadrà in inverno? Ne abbiamo parlato con Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato di Msd Italia.

In che modo la crisi dell’energia e la guerra in Ucraina stanno impattando sul settore farmaceutico?

Il comparto farmaceutico sta affrontando un momento di straordinaria difficoltà, alimentato da una serie di fattori concomitanti: le imprese stanno rientrando da un periodo difficile di pandemia in cui sono state registrate importanti perdite. Contemporaneamente, stanno affrontando il gravoso problema dell’aumento dei costi – materie prime ed energia in particolare – a cui si aggiunge l’incremento del tasso di inflazione, la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro (valuta con la quale si pagano i principi attivi che provengono per l’80% da Cina e India), le incertezze provocate dal conflitto in Ucraina, il tutto in attesa della formazione di un nuovo Governo.

L’industria farmaceutica – in questi anni così difficili nei quali il lockdown è costato al Paese 13 miliardi di euro al mese di indebitamento pubblico – ha sempre dato il massimo per garantire la disponibilità dei farmaci ai cittadini, non ha mai fermato la produzione cambiando addirittura, spesso repentinamente, le linee produttive per evitare carenze di medicinali e assicurare la continuità delle cure ai pazienti.

E appare opportuno sottolineare come, a differenza di altri settori, l’industria farmaceutica – che è certamente un comparto energivoro – non abbia alcun modo di trasferire gli aumenti dei costi energetici sui prezzi finali dei farmaci poiché fissati (e rinegoziati periodicamente al ribasso) dallo Stato. A queste oggettive criticità, si aggiungono ulteriori elementi di forte preoccupazione: il riconoscimento del valore strategico della Sanità e, più in generale, la Salute sembra essersi “rarefatto” nell’agenda politica del Paese. Eppure, un solo virus è stato in grado di mettere in ginocchio le economie mondiali; se oggi incominciamo a vivere una fase di nuova normalità è anche grazie allo straordinario impegno della Ricerca e Sviluppo delle aziende farmaceutiche – unitamente a virtuose partnership pubblico-privato che occorrerebbe mantenere e consolidare – che hanno consentito di avere vaccini e farmaci in grado di contrastare la pandemia.

La recente nota di aggiornamento al Def evidenzia un significativo e preoccupante decremento nel rapporto finanziamento spesa sanitaria rispetto al Pil, destinato a calare dal 7,4% al 6,1% nel 2025. E la spesa sanitaria pubblica continua ad essere considerata un costo anziché un investimento. Il combinato disposto di tutti questi fattori è, pertanto, fonte di grande preoccupazione per il nostro settore.

Quali sono le sfide più pressanti per il pharma in questa fase?

Ritengo che per il nostro settore in questo momento sia quella di una governance della spesa farmaceutica pubblica basata su un sistema di tetti e sul meccanismo del payback profondamente iniqua, discriminatoria e ingiustificata.

Iniqua, perché la pandemia Covid-19 ha dimostrato, in modo incontrovertibile, il ruolo e il valore strategico dell’industria farmaceutica. La rapida scoperta e lo sviluppo di vaccini e terapie efficaci ha consentito non solo di mitigare l’impatto epidemiologico della pandemia, ma anche di contribuire in modo sostanziale alla ripresa economico-finanziaria del Sistema Paese, con un approccio coerente agli obiettivi di sviluppo sostenibile e facendo leva su virtuose partnership sia pubblico-privato sia tra singole aziende.

Discriminatoria, perché applicata da anni esclusivamente a un settore, quello farmaceutico, che rappresenta un vanto in termini di Ricerca & Sviluppo, occupazione qualificata anche in termini di parità di genere.

Ingiustificata, perché il mantenimento di una governance della spesa farmaceutica pubblica attraverso un sistema di tetti e il meccanismo del payback è contrario ad una visione olistica della salute e della sanità che, mantenendo silos separati, non tiene conto dei vantaggi di sistema e dei risparmi che il bene farmaco è in grado di produrre.

C’è un dato che mi ha colpito molto leggendo il recente Piano di attività per l’anno 2022 dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa): la spesa farmaceutica pubblica totale nel nostro Paese è passata da 19,527 miliardi di euro nel 2019 ad un valore stimato per il 2022 di 19,528 miliardi di euro. In altri termini, negli ultimi 4 anni, il finanziamento della spesa farmaceutica pubblica è rimasto letteralmente invariato, anche grazie al payback pagato dalle aziende farmaceutiche (2,76 miliardi di Euro nei soli anni 2019-2020) che incide per circa l’11-15% sul fatturato aziendale. Aggiungo che, in un’ottica di comparazione internazionale, appaiono rilevanti due ulteriori considerazioni: la spesa farmaceutica pubblica pro-capite in Italia è inferiore alla media europea del 21%, misurato a parità di potere di acquisto; i prezzi dei farmaci sono inferiori alla media europea del 15-20%.

Per questi motivi, trovo veramente ingiustificato il dibattito su una possibile inclusione del settore farmaceutico tra quelli che dovrebbero essere tassati per gli extraprofitti generati durante la pandemia per recuperare risorse finanziarie pubbliche in una legittima ottica redistributiva. Gli extraprofitti, come evidenziato dalla stessa Aifa, non esistono per il nostro settore.

Al contrario, investire in salute e, soprattutto, sulla farmaceutica rappresenta oggi una indifferibile priorità strategica per la sicurezza di ogni Paese e per la ripresa e lo sviluppo produttivo, economico e sociale.
La spesa farmaceutica farmaceutica pubblica dovrebbe, quindi, cessare di essere considerata come un costo quanto, piuttosto, come un investimento anche da un punto di vista contabile per il futuro del Paese e un asset strategico al pari delle infrastrutture e della difesa.

Covid-19 sembra non essere ancora alle spalle, dottoressa Luppi come vedete la situazione?

I dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità evidenziano chiaramente come il numero di casi di Covid-19 negli ultimi 30 giorni sia ancora molto preoccupante: oltre 700.000 contagi, oltre 11.000 tra gli operatori sanitari. Nonostante la pandemia appaia sotto controllo, le più recenti sottovarianti di Omicron sembrano essere più aggressive rispetto alle precedenti. E in grado anche di eludere, per quel che riguarda il rischio di contagio, le difese immunitarie sviluppate da chi nei mesi scorsi era stato contagiato da una delle precedenti evoluzioni di Omicron. Non v’è dubbio che, rispetto al recente passato, possiamo disporre di vaccini e farmaci di grande efficacia nel prevenire il contagio e mitigarne gli effetti clinici.

Ad esempio, un’analisi preliminare dello studio Panoramic (condotto nel Regno Unito su pazienti adulti trattati con molnupiravir in aggiunta alla terapia standard vs la sola terapia standard in pazienti vaccinati) ha evidenziato una risoluzione clinica in tempi ridotti (6 giorni in meno) nel gruppo molnupiravir rispetto al gruppo con terapia standard; inoltre, l’uso di molnupiravir è stato anche associato a un più rapido recupero di un’ampia serie di altri sintomi rispetto alla terapia standard.

Un’analisi dei dati di real-world provenienti da un altro studio osservazionale retrospettivo condotto da ricercatori in Israele su un database di Clalit Health Service che copre il 65% degli anziani israeliani (studio Clalit) ha invece evidenziato – in una coorte di pazienti ad alto rischio non ospedalizzati non eligibili ad altra terapia antivirale orale – che molnupiravir ha ridotto sia il numero di ricoveri che la mortalità dovuti a Covid-19 in pazienti di età pari o superiore a 65 anni. La situazione è certamente migliorata, ma abbassare la guardia sarebbe un grandissimo errore.

Siamo in attesa del nuovo Governo, quali sono i temi più caldi e le priorità del pharma italiano? 

Come anticipato, la priorità principale è legata alla definizione di una nuova governance della spesa farmaceutica pubblica e a un finanziamento della spesa sanitaria pubblica allineato alle esigenze epidemiologiche della popolazione italiana e ai valori di Paesi omologhi dal punto di vista socio-economico.
Oggi la spesa sanitaria pubblica in Italia in rapporto al Pil è inferiore di circa 2-3 punti percentuali.

Ritengo, inoltre, necessario trovare un nuovo equilibrio tra la giusta esigenza di avere una sanità prossima al cittadino (uno degli obiettivi alla base del federalismo sanitario) e una visione centrale e di indirizzo della sanità stessa, evitando derive molto spesso guidate da un obiettivo di contenimento della spesa piuttosto che da evidenze epidemiologiche o trasparenti criteri scientifici.

Last but not least, aggiungerei il riconoscimento del valore strategico per il nostro Paese dell’intero settore delle Life Sciences, creando un ambiente che sia veramente favorevole all’innovazione anche attraverso il superamento di alcuni ritardi specifici – come quello relativo ai decreti attuativi sulla sperimentazione clinica – che pongono il nostro Paese in una situazione di svantaggio competitivo rispetto ad altre nazioni.

Dal punto di vista imprenditoriale, in che modo dall’estero stanno guardando all’Italia?

L’Italia è un Paese di straordinaria importanza. Se penso solo agli Stati Uniti, l’Italia – come settore farmaceutico – rappresenta il primo Paese a livello Ue in termini di produzione e occupazione.
E all’Italia si è guardato con attenzione durante la prima fase della pandemia, che visto il nostro Paese affrontare in modo efficace un’emergenza epocale. Con la stessa attenzione, chi ci guarda dall’estero attende di conoscere le mosse del nuovo Governo con la speranza, personalmente condivisa, che la sanità e la salute siano al centro dell’agenda politica.

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