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Paura. Ansia. Particolare sensibilità alla propaganda antiscientifica. Quando si cerca di comprendere cosa spinge le persone ad esitare di fronte alla proposta di protezione attraverso i vaccini, e non solo per Covid-19, ci si trova di fronte ad una serie di sensazioni e percezioni che possono comunque essere raccolte in veri e propri “gruppi” da studiare.

L’analisi di queste sacche percettive e del loro sviluppo è al centro di un interessante ricerca apparsa su Plos Computational Biology e coordinata da Lucila Alvarez-Suzek, dell’Università Georgetown. Stando allo studio, che propone diverse chiavi di lettura nel tentativo di spiegare il diffondersi dell’esitanza vaccinale e il conseguente riemergere di focolai infettivi potenzialmente a rischio per la protezione di gregge, due sarebbero i processi sociali che stanno alla base di questa tendenza. Ed entrambi sono in grado di determinare veri e propri “cluster” comportamentali capaci di influire sulle attitudini e le scelte di ampie fasce di popolazione.

Da un lato ci sono ovviamente fattori legati agli ambiti culturali e sociali, che si possono racchiudere in chiare caratteristiche socio-demografiche.

Ma ci sarebbe anche un altro elemento da non sottovalutare, ed è l’influenza sociale, capace di muoversi trasversalmente superando le classiche barriere sociali ed economiche. E proprio i cluster di esitanza vaccinale che si formano in base a questo percorso, per l’incapacità di codificare i messaggi che vengono trasportati secondo una chiave socio-demografica, appaiono più difficili da gestire.

Sia chiaro. Come riporta l’analisi d’oltre Oceano, entrambi i meccanismi contribuiscono a creare gruppi di persone che tendono a non percepire il valore di vaccini e vaccinazioni. E la propaganda di esitazione, in questi ambiti, appare ancora più significativa nei suoi effetti, contribuendo a creare gruppi di poche persone entro cui si diffondono percezione errata.

Parlare di possibili contromisure partendo da una ricerca che analizza variabili psicologiche e tendenze di gruppo partendo da modelli computazionali non è certo semplice. Ma gli esperti non perdono l’opportunità di proporre possibili modalità di intervento per ristabilire il corretto spazio della scienza in termini di vaccini e vaccinazione.

Il punto di svolta sarebbe da ricerca nella selezione sociale: quanto questa è bassa, occorre agire sia sulle comunità più vulnerabili a messaggi “fake”, sia sull’ambiente socio-culturale che ovviamente propone soluzioni in grado di portare più facilmente all’esitanza vaccinale.

Si tratta comunque solo di potenziali proposte, vista la complessità del tema. L’importante sarebbe comunque creare strategie informative e formative che riducano il rischio che si formino cluster pericolosamente diffusi entro certi ambiti sociali (anche attraverso i social), e tale da influire sull’effettiva efficacia preventiva delle campagne vaccinali.

L’obiettivo, secondo la Alvarez-Zuzek, deve essere sempre quello di proporre strategie di mitigazione che proteggano le popolazioni più vulnerabili.

Certo è che modificare la tendenza al diniego del valore dei vaccini, visto anche l’impatto divisivo sulla popolazione della vaccinazione per Covid-19 e dei successivi richiami, non è semplice.

Basti ricordare in questo senso quanto recentemente apparso su Scientific Reports, in una ricerca coordinata da Jefferey Lazarus con la sua equipe. Stando allo studio, circa il 50% tra quanti non sono ancora ricorsi al vaccino per la prevenzione di Covid-19 continuerà pervicacemente nella sua scelta.

Lo studio, realizzato nella primavera di quest’anno e mirato proprio a valutare l’atteggiamento delle persone nei confronti della vaccinazione su un campione rappresentativo della popolazione (circa 6000 le persone coinvolte), segnala infatti che niente porterà queste persone a cambiare idea sulla prevenzione attraverso questo strumento.

L’analisi sociale di questi gruppi di esitanti conferma come la diffusione dell’esitazione non possa essere fatta risalire solamente a semplici fattori sociali o al livello di istruzione.

Se è vero infatti che a scelta “no vax” è risultata più diffusa tra i soggetti a basso reddito, tra chi non ha mai affrontato Covid-19 e comunque tra chi ha un lavoro lontano dalla propria casa, non si rileva una chiara tendenza al rifiuto vaccinale considerando i livelli di istruzioni, il genere, l’etnia e il sesso.

Trovare dei cluster su cui agire, insomma, non è facile. E per questo occorre un impegno specifico, che parta dall’impiego degli strumenti informativi che più facilmente possano favorire le scelte di chi non crede nella prevenzione vaccinale. Magari sfruttando le “scorciatoie” che riducono la complessità e possono essere un aiuto per il cervello, a patto di usarle nel modo adeguato. E secondo la scienza.

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