Prevenzione, l’occasione mancata del Pnrr

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Tra le lezioni della pandemia che ci auguravamo definitivamente apprese c’è quella che riguarda la prevenzione. Un’emergenza inattesa per i più, anche se annunciata dagli allarmi ripetuti e inascoltati di alcuni addetti ai lavori, e la probabilità di fare i conti con situazioni analoghe anche in futuro, hanno acceso i riflettori su questa politica sanitaria durante le fasi più dure della pandemia. Anche il cambiamento climatico con i suoi effetti sulla salute e, più in generale, il tanto citato approccio One Health spingevano in quella direzione.

E poi le difficoltà del nostro sistema di prevenzione erano sotto gli occhi di tutti, tanto rispetto alla capacità di previsione dell’evoluzione della pandemia che alla gestione, per la parte di sua competenza, delle diverse fasi. Ma anche per il drastico rallentamento delle attività ordinarie, comprese quelle di diagnosi precoce, con un calo significativo nell’adesione agli screening nel primo anno di pandemia: -36% per quello della cervice uterina, -29% per il mammografico, -34% per il colon-rettale, tradotti successivamente in riduzioni dei ricoveri di chirurgia oncologica.

Insomma la durezza della pandemia e il cambiamento di paradigma che si prospettava per i sistemi sanitari sembravano aver gettato le basi perché alla prevenzione fosse riconosciuto finalmente un peso diverso nell’ambito delle politiche sanitarie pubbliche. Sarebbe stato naturale, quindi, attendersi un esame approfondito del suo ruolo e della sua organizzazione nell’ambito della riflessione sul Pnrr, lo strumento sul quale si è concentrata la gran parte delle trasformazioni strutturali del Ssn per i prossimi anni, con progettualità e risorse coerenti.

Non è andata esattamente così. I riferimenti alla prevenzione nella Missione 6, dedicata alla Salute, sono piuttosto scarni, e si limitano per lo più a citazioni relative alle disparità territoriali, agli obiettivi delle Case della comunità e agli investimenti in telemedicina. Un capitolo a parte riguarda la “definizione entro la metà del 2022, a seguito della presentazione di un disegno di legge alle Camere, di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, in linea con l’approccio One-Health”, prevista tra le riforme della Componente 1 della Missione Salute. Ma poi, paradossalmente, per il nuovo assetto della prevenzione che verrà non si prevedono risorse, come se non fossero necessari investimenti per rendere coerente quel progetto con le disponibilità di professionalità, strutture, attrezzature del Ssn.

Di prevenzione si parla un po’ di più nelle schede tecniche del Pnrr, soprattutto a proposito degli investimenti per il rafforzamento della infrastruttura tecnologica del ministero della Salute da utilizzare per l’analisi dei dati e del modello predittivo per i Lea (Livelli essenziali di assistenza), oltre che per sorveglianza sanitaria e programmazione.

Attraverso di essi si punta ad allineare quell’infrastruttura all’evoluzione del quadro demografico ed epidemiologico e ai bisogni della popolazione, prevedendo la costituzione di un Health Prevention Hub nel quale concentrare informazioni e dati. Il progetto ha suscitato allarme tra le fila degli epidemiologi italiani, preoccupati che si finisca per attribuire funzioni e compiti propri dell’epidemiologia a un sistema e a una piattaforma informatici. La concentrazione delle conoscenze disponibili è senza dubbio un passo in avanti significativo per utilizzarle come strumento di governo delle politiche sanitarie. Ma è pur vero che, come per altre progettualità, il Pnrr sembra concentrarsi su soluzioni fortemente tecnologiche più che su competenze e processi, in questo caso quelli necessari ad analizzare e interpretare i dati e a trasformarli in informazioni utili per orientare scelte e decisioni.

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