Quattro medici su 10 pronti a lasciare il Ssn per lavorare a gettone

assunzioni medici
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Se il fascino del ‘camice bianco’ resiste fra i giovani, come dimostrano i 65.378 iscritti quest’anno ai test per entrare a Medicina, quando poi si arriva a indossarlo le cose cambiano. Abbiamo più volte segnalato il fenomeno delle ‘Grandi dimissioni’ dei medici dal Ssn. Ma ad attrarre i medici non sono solo le strutture sanitarie private.

Circa 4 su 10, infatti, sono pronti a lasciare il Ssn per lavorare a gettone. Almeno secondo un sondaggio flash proposto dalla Federazione Cimo-Fesmed a un campione di 1000 medici: di questi, il 37,6% ha dichiarato di essere pronto a dimettersi da dipendente del Servizio sanitario nazionale per lavorare con una cooperativa.

Percentuali che risultano maggiori tra i camici bianchi più giovani (è disposto a lavorare per le coop il 50% di chi ha meno di 35 anni ed il 45% dei dottori tra i 36 ed i 45 anni) e che, comprensibilmente, si riducono tra i medici più anziani, più vicini alla pensione. Solo il 28% degli over 55 preferirebbe lavorare a gettone.

Quanto ai reparti di appartenenza, i più desiderosi di fuggire verso le cooperative sono i medici che lavorano nell’area dei servizi (che rappresentano il 46% di coloro che dichiarano di voler lavorare come gettonisti), seguiti da chi lavora in emergenza (42%), dai chirurghi (40%) e, infine, dall’area medica (32%).

Una situazione che “non può non destare preoccupazione – commenta Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed che riunisce le sigle Anpo-Ascoti, Cimo, Cimop E Fesmed – È la rappresentazione plastica del disagio dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale che iniziano a vedere nelle coop l’unica ancora di salvezza per uscire da un sistema e da un’organizzazione del lavoro ormai insopportabili. Ma se queste percentuali dovessero trasformarsi in dimissioni reali, ci ritroveremmo dinanzi al tramonto definitivo del Servizio sanitario nazionale, svuotato di molte delle sue professionalità e affidato in buona parte a società private che nessuno regola né controlla”.

Cimo-Fesmed punta il dito contro “l’assenza di trasparenza in merito al percorso formativo dei medici proposti, che spesso sono neolaureati senza alcuna specializzazione; l’impossibilità di controllare il rispetto della normativa sull’orario di lavoro ed il riposo obbligatorio tra un turno e l’altro, che mette a rischio la sicurezza delle cure e, quindi, i pazienti; la difficoltà di inserirsi in un contesto lavorativo ogni volta diverso, che segue regole, protocolli e un’organizzazione che solo un dipendente può conoscere bene e rispettare; l’ingiustizia di far guadagnare al gettonista anche il triplo di quello che guadagna un dipendente nel corso del medesimo turno di servizio, avendo inoltre un carico di responsabilità inferiore”.

Sebbene l’aspetto retributivo, e quindi la possibilità offerta dalle cooperative di guadagnare molto di più lavorando molto di meno, sia uno dei motivi principali che spinge sempre più medici verso le prestazioni a gettone, in realtà per il 52,4% dei medici che hanno risposto al sondaggio sono altri gli aspetti che inducono a valutare la possibilità di lavorare con le coop. Primo fra tutti, la certezza di poter gestire meglio il proprio tempo, di migliorare la qualità della propria vita, di avere maggiore autonomia e flessibilità, di dover svolgere una quantità minore di compiti burocratici.

“Se non si valorizza la professione medica, adeguando gli stipendi alla media europea, migliorando le condizioni di lavoro in ospedale e dando concrete possibilità di carriera – avverte Quici – tra pochi anni dovremo celebrare il funerale del Servizio sanitario nazionale”. E occorre fare presto, “perché forse è già troppo tardi”.

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