Manovra, il nodo delle risorse per la sanità

Walter Ricciardi al Forum Risk
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La sanità italiana fa i conti con problemi annosi, emersi con forza negli anni della pandemia. Dalla carenza di specialisti, infermieri e medici di medicina generale, alla mancanza di collegamento fra ospedali e territorio. Dalla crisi dei pronto soccorso, al divario fra Nord e Sud, fino al mancato aggiornamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza). Problemi che richiedono imvestimenti mirati e importanti. Ebbene, nella Manovra del Governo Meloni sono stati destinati due miliardi in più nel 2023 e altrettanti nel 2024 per finanziare la sanità. Vengono poi stanziati 650 milioni, nel 2023, da destinare all’acquisto dei vaccini e dei farmaci anti-Covid.

Basteranno?  Per Nino Cartabellotta la risposta è negativa. Il presidente di Fondazione Gimbe, intervenuto ieri al 17° Forum Risk Management di Arezzo, ha sottolineato come “la sanità pubblica continua a rimanere fuori dalle priorità del Paese”.

E questo “nonostante le enormi criticità esplose con la pandemia”. Infatti, “se nei momenti più bui tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di rilanciare il Ssn, con la fine dell’emergenza la sanità è “rientrata nei ranghi”, come dimostrato prima dalla scarsa attenzione nei programmi elettorali, poi dall’assenza di un piano di Governo per la sanità pubblica e, da ultimo, dal mancato incremento del finanziamento nella Legge di Bilancio 2023 presentata dall’Esecutivo: ovvero, nessun ulteriore investimento per la salute delle persone”, ha detto Cartabellotta.

Salvo sorprese al fotofinish, la Manovra 2023 confermerebbe infatti solo l’aumento di 2 miliardi previsti dalla precedente manovra. “Una cifra che, oltre ad essere erosa dall’inflazione non permetterà di coprire i costi straordinari dovuti alla pandemia e alla crisi energetica, né tantomeno di avviare alcun rilancio del Servizio sanitario nazionale. Con il risultato di mandare “in rosso” anche le Regioni più virtuose, con inevitabili conseguenze sull’erogazione sulla qualità dell’assistenza”, ha aggiunto il presidente Gimbe.

Il finanziamento della sanità “resta fanalino di conda in Europa: nel 2020 la spesa sanitaria pubblica italiana era inferiore di 215 dollari pro-capite rispetto alla media europea: esiste dunque un gap di circa 12,7 miliardi che può essere colmato solo con una programmazione pluriennale di rilancio del finanziamento pubblico”, ha detto Cartabellotta.

E’ d’accordo con questa chiave di lettura anche Walter Ricciardi, presidente della World federation of public Health associations. “La manovra – ha detto a margine del Forum Risk Management – ha confermato che le risorse per il servizio sanitario nazionale sono assolutamente insufficienti. Abbiamo calcolato che, per mettere sostanzialmente in sicurezza il sistema sanitario, ci vogliono tra i 5 e i 6 miliardi all’anno fino al 2026. Che sono peraltro fondi disponibili perché l’Ue li ha messi nel cosiddetto Mes Sanità. E’ in realtà l’unico strumento che noi abbiamo per salvare il sistema sanitario nazionale. Mi fa un po’ specie che non se ne parli. Questi 2 miliardi servono a malapena a compensare gli aumenti energetici. Tutto il resto viene lasciato insoluto”.

Per Cartabellotta non c’è tempo da perdere: servono risorse “per allineare la spesa sanitaria pubblica alla media dei Paesi europei, coraggiose riforme di sistema e soprattutto la visione del servizio sanitario che la politica intende consegnare alle future generazioni. Altrimenti, il Ssn è condannato ad una stentata sopravvivenza che finirà per sgretolare, lentamente ma inesorabilmente, il modello di una sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro della nostra democrazia”.

 

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