Umore e capacità di analisi, ecco il segreto

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Dovete analizzare in profondità un documento, andando a sviscerare ogni più piccolo particolare che potrebbe nascondere qualche insidia? Non fatelo quando siete particolarmente allegri o comunque il vostro buonumore è alle stelle. Rischiereste di perdere aspetti di grande importanza, seppur nascosti tra le pieghe del testo.

Meglio, molto meglio, lasciare le abilità analitiche a fasi della giornata o della settimana in cui l’umore tende a farsi più cupo e le preoccupazioni appaiono in ascesa. In queste condizioni, la vostra capacità di analisi dovrebbe risultare di gran lunga migliore, consentendovi di identificare ogni criticità e consentendovi di ottenere il miglior giudizio su un testo particolarmente complesso e ricco di particolari sdrucciolosi.

Questo consiglio, apparentemente poco significativo ma di grande utilità per chi compie opere di attenta valutazione delle virgole e delle parole, oltre che delle cifre, viene da un’affascinante ricerca di neuroscienze che prova a mettere in correlazione due diverse reti cerebrali, quella che governa lo stato dell’umore e quella che invece regola le nostre reazioni al linguaggio.

Pensando ad un tracciato ferroviario, queste due reti non sono destinate ad incrociarsi ma possono comunque risentire l’una dell’altra, come se il cervello ad un certo punto dovesse creare un’unitarietà tra due aspetti così lontani. E nelle donne, perché lo studio ha preso in esame solo partecipanti del gentil sesso, quanto più l’umore tende ad essere grigio, tanto maggiori sono le capacità di analizzare e di mantenere elevata la soglia d’attenzione nei compiti più complessi.

Se non credete a questa complessa teoria che mescola assieme componenti emotive, umorali e tecniche di analisi nelle attività lavorative andate a leggere la curiosa ricerca pubblicata su Frontiers in Communication, coordinata dagli esperti dell’Università dell’Arizona guidati da Vicky Lai, in collaborazione con studiosi olandesi come Jos van Berkum dell’Università di Utrecht e Peter Hagoort del Max Planck Institute for Psycholinguistics nei Paesi Bassi.

Per giungere a questa curiosa associazione psico-neurologica tra umore e prestazioni intellettive analitiche, gli scienziati hanno dapprima influito sullo stato d’animo di chi ha partecipato all’analisi, con la visione di clip di pellicole molto tristi, che sono riusciti a far calare un velo di melanconia tra chi veniva studiato.

Poi sono state proposte registrazioni audio emotivamente neutre di storie di quattro periodi che contenevano ciascuno una “frase critica” che supportava o violava la conoscenza predefinita o familiare delle parole. Quella frase è stata visualizzata una parola alla volta sullo schermo di un computer, mentre le onde cerebrali dei partecipanti sono state monitorate attraverso l’elettroencefalogramma.

Infine, attraverso passaggi diversi, si sono valutate le reazioni cerebrali ai passaggi incoerenti, correlando con la situazione emotiva. Ed è a questo punto che si è scoperto quanto non essere propriamente gioiosi e spensierati potrebbe nascondere un aspetto positivo: quando le partecipanti erano di umore negativo, l’attività cerebrale assumeva caratteristiche tipiche del processo di analisi approfondita.

Da questa osservazione il consiglio pratico che arriva direttamente da Lai: “Se siamo di cattivo umore, forse dovremmo fare cose più orientate ai dettagli, come la correzione di bozze“. Curiosità finale: i partecipanti allo studio, condotto in olandese, erano tutte donne. In pratica, un’analisi di genere di grande impatto, che mostra proprio l’impatto dell’umore e delle sue variazioni nella realizzazione di specifici compiti di analisi.

In qualche modo si sono esplorati angoli poco conosciuti, almeno per i rapporti che intercorrono tra loro, della nostra mente. E una volta di più la ricerca ci mostra come le connessioni impercettibili tra umore e funzioni cerebrali siano ancora un “mare magnum” da esplorare, con onde (e non solo elettroencefalografiche) che vanno sempre studiate con grande attenzione.

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